La biblioteca che si mette insieme è una vita. Non è mai una somma di libri. C.M. Domínguez
Una storia d’amore, di più amori, questo libro. Amori che consumano, amori consumati, ma sotto la cenere dei giorni fatta di tempo e carta qualcosa ancora di inestinguibile morde.
Quasi come Gaudí la fine di Bluma Lennon. L’architetto di Dio realmente investito da un tram nel ’26, forse troppo assorto nei suoi disegni mistico monumentali. Lei, ispanista a Cambridge e personaggio letterario di questo romanzo, uccisa da un’auto mentre per strada leggeva l’adorata Dickinson.
La sostituisce un collega, nonché l’io narrante della storia, che viene trascinato nel passato amoroso di Bluma a causa di un pacco postumo a lei indirizzato e da lui ricevuto, contenente un copia piuttosto malmessa di La linea d’ombra di Conrad, con la copertina intrisa di cemento e una strana dedica della donna a un certo Carlos conosciuto anni prima a Monterrey, probabilmente lo stesso uomo che ha sentito il bisogno di rispedire indietro il libro.
Così cominciano le ricerche del nostro sulle tracce sudamericane del misterioso Carlos Brauer, un bibliofilo (dunque bibliomane) poco alla volta scivolato nella bibliofollia e nella follia tout court, in particolare in seguito al piccolo incendio che ha distrutto il suo archivio e con esso la possibilità di recuperare alcun ordine, dunque qualsiasi titolo, delle migliaia e migliaia accumulati nel tempo. Oramai ai suoi occhi inutilizzabili, quei mattoni di carta che hanno costruito il senso della sua vita, vengono da Carlos usati come mattoni veri e propri, cementificati in una improbabile casa di carta sulla spiaggia, che regge in realtà sino a quando egli non decide di spaccarla furiosamente alla ricerca del Conrad di Bluma. Passione divorante, devastante, quella per gli oggetti dannatamente magici che chiamiamo libri. E forse ha ragione una vecchia nonna che all’inizio del romanzo dice “smettila, che i libri sono pericolosi”. Troppo tardi per me.
Infatti invito chiunque non l’abbia letto a precipitarsi in libreria perché questo gioiello breve, poco meno di ottanta pagine, per quanto strepitoso di Carlos María Domínguez (Buenos Aires, 1955) sarà fra i vostri dieci preferiti di sempre, non ne dubitate.
“Spesso è più difficile disfarsi di un libro che procurarselo. I libri restano con noi in virtù di un patto di necessità e oblio, come testimoni di un momento delle nostre vite al quale non ritorneremo. Ma finché sono lì, crediamo di farne la somma. Ho visto che molti annotano il giorno, il mese e l’anno di lettura, tracciando così un intermittente calendario. Altri scrivono il loro nome sulla prima pagina, e prima di prestare un libro si appuntano su una rubrica il nome della persona cui lo hanno prestato, aggiungendo la data. Ho visto volumi etichettati, come quelli delle biblioteche pubbliche, o con un delicato biglietto da visita del proprietario infilato tra le pagine. Nessuno vorrebbe perdere un libro. Preferiamo perdere un anello, un orologio, l’ombrello, anziché il libro che non rileggeremo ma che serba, nella sonorità del titolo, un’antica e forse perduta emozione.
E succede che alla fine la biblioteca si impone per le sue dimensioni. La lasciamo esposta come un gran cervello aperto, coi miseri pretesti e false modestie. Conoscevo un professore di lingue classiche che si attardava di proposito nella preparazione del caffè in cucina, per dare all’ospite il tempo di ammirare i titoli sugli scaffali. Quando riteneva che il rito fosse consumato, faceva il suo ingresso in sala portando il vassoio con un sorriso soddisfatto.
Noi lettori curiosiamo nella biblioteca degli amici, anche solo per distrarci. A volte per scoprire un libro che vorremmo leggere e non possediamo, altre solo per capire di cosa si nutra l’animale che abbiamo di fronte. Lasciamo un collega seduto sul divano e al nostro ritorno lo troviamo in piedi, ad annusare fra i nostri libri.
Ma viene il momento in cui il numero dei volumi varca una soglia invisibile e l’orgoglio si tramuta in carico gravoso perché lo spazio è diventato un problema. Mi stavo appunto domandando dove sistemare un nuovo scaffale, quando giunse nelle mie mani quella copia della Linea d’ombra che mi perseguita, da allora, come un perpetuo avvertimento.”
Carlos María Domínguez, La casa di carta, Sellerio, Palermo, 2011 (ed. orig. 2002)
Ps. E un ringraziamento speciale a Giulia, amica e bibliotecaria “folle” capace di stupire sempre coi suoi consigli.
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