Premessa: come ogni anno tengo a festeggiare la ricorrenza del “pesce d’aprile” (ecco perché, come consuetudine, non ho pubblicato questo lunedì). Quest’anno lascio la parola all’intelligenza ironica, intellettuale, dissacrante, paradossale del grande Duchamp che, passata la Pasqua, terrà compagnia ai miei lettori sino a lunedì 13 aprile. Buone festività.
Nel 1913 ebbi la felice idea di fissare una ruota di bicicletta su uno sgabello da cucina e di guardarla girare.
Qualche mese dopo comprai una riproduzione a buon mercato di un paesaggio invernale, di sera, che chiamai Farmacia dopo avervi aggiunto due piccoli tocchi, uno rosso e l’altro gallo, sull’orizzonte.
A New York nel 1915 comprai in un emporio una pala da neve su cui scrissi: “In advance of the broken arm” (Anticipo per il braccio rotto).
È più o meno in quel periodo che mi venne in mente il termine readymade per indicare questa forma di manifestazione.
C’è un punto che voglio definire molto chiaramente: la scelta di questi readymade non mi fu mai dettata da un qualche diletto estetico. La scelta era fondata su una reazione d’indifferenza visiva, unita a una totale assenza di buono o cattivo gusto… dunque un’anestesia completa.
Una caratteristica importante: la breve frase che scrivevo sul readymade.
Questa frase non descriveva l’oggetto come avrebbe potuto fare un titolo, ma era destinata a condurre la mente dello spettatore verso altre regioni più verbali. Talvolta vi aggiungevo un particolare grafico di presentazione; in tal caso, per soddisfare la mia simpatia per le allitterazioni, lo chiamavo ready-made aided (readymade aiutato).
Un’altra volta volendo sottolineare l’antinomia fondamentale tra l’arte e i readymade, immaginai un readymade reciproco (reciprocal ready-made): servirsi di un Rembrandt come tavolo da stiro!
Ben presto mi resi conto del danno che poteva procurare l’offerta indiscriminata di questa forma di espressione, e decisi così di limitare la produzione dei readymade a un piccolo numero ogni anno. Mi accorsi allora che per lo spettatore, più ancora che per l’artista, l’arte è una droga ad assuefazione e io volevo proteggere i miei readymade da una simile contaminazione.
Un altro esempio del readymade è che non ha niente di unico… la replica di un readymade trasmette lo stesso messaggio; infatti quasi tutti i readymade esistenti oggi non sono degli originali nel senso proprio del termine.
Un’ultima osservazione per concludere questo discorso da egomaniaco: come i tubetti di pittura utilizzati dall’artista sono prodotti di manifattura e già pronti, dobbiamo concludere che tutte le tele del mondo sono dei readymade aiutati e dei lavori di assemblaggio.
Marcel Duchamp (1887-1968) A proposito dei ready-made, in Art and Artist, London, luglio 1966, p.47 (Marcel Duchamp, Scritti, Milano 2005, pp.165-166).
davvero interessante 🙂