Metti un pomeriggio un’amica che ti chiama e propone di andare a sentire Andrea Canevaro che proprio qui vicino, in campagna, avrebbe tenuto una lezione-incontro dal titolo I baffi del leone (bastano i baffi di un leone per conquistare un figlio? Dalla lettura di una fiaba etiope alla ricerca di un posto nella vita dei nostri ragazzi)[1].
Non ringrazierò mai abbastanza Francesca, la mia amica.
Tutto parte appunto dalla lettura di una fiaba etiope tratta da Passaggi di vita. Le crisi che ci spingono a crescere di Alba Marcoli (Milano 2003): un vedovo con un figlio si risposa e la cosiddetta matrigna più di tutto desidera essere una buona madre per il piccolo, che però rifiuta anche in malo modo ogni sua attenzione, ogni segno di affetto da cui si sente inondato, quasi investito. Insomma la respinge completamente. Disperata si rivolge allo stregone del villaggio perché le prepari una pozione: per farla però è necessario che la donna di sua mano gli procuri i baffi del leone più feroce della foresta. Che fare? La donna sembra ancora più disperata di prima. Poi ha un’intuizione. Nottetempo porta una cesta di carne all’ingresso del territorio della bestia. Il giorno dopo fa lo stesso, spingendosi un po’ più in là. E così via finché, dopo molto tempo, riesce ad arrivare nella tana dell’animale e “spaventatissima ma determinata, depone direttamente il cesto di carne davanti al leone che comincia tranquillamente a mangiare.” Così lei ne approfitta, gli stacca un paio di baffoni e corre forse incredula ma al colmo della gioia dallo stregone, il quale per tutta risposta le dice di non poterla aiutare. La donna ricade nella disperazione. Al che, lo stregone: “Non bastano i baffi di un leone per conquistare un figlio! (…) Sai perché non ti posso preparare la magia? Perché non è più nelle mie mani, ormai ce l’hai già nelle tue. E la magia è semplicemente questa: devi fare col tuo bambino esattamente quello che hai fatto col leone”.
Questa fiaba si presta a riflessioni molteplici: anzitutto, di fronte alle difficoltà che la vita ci pone (o impone che dir si voglia) e dopo un’iniziale e umana fase di scoramento, non arrendersi e polarizzare l’impotenza, ovvero individuare il punto debole della sfida dove poter intervenire. Nel caso della fiaba, anche l’invincibile leone deve mangiare, ha bisogno di carne.
Ciò fatto (o intuito), cercare la strategia da applicare e spesso la via pratica si rivela migliore dell’astratta pur pensata in buona fede: la donna col bambino ha tentato un approccio socio-affettivo fallimentare, ma col leone non si è esposta a una contrapposizione-scontro, neanche l’ha sfiorata il pensiero e giustamente. Si è concentrata sui bisogni materiali ovvero reali (quelli che Canevaro chiama “mediatori” mentre altri definiscono “oggetti transizionali”). Viceversa sarebbe stato come presentare alla bestia un’elegante sciarpa anziché del cibo.
Attenzione dunque a riempire i vuoti dei nostri figli con regali non necessari per sedarli, col rischio fra l’altro che essi alla fine confondano il capriccio con la necessità. Certo, essendo cuccioli d’uomo è difficile trovare subito la direzione giusta, ci si può e deve sbagliare, ma almeno non lasciarsi andare a seduzioni di cose inutili.
Altro dato importante: il fattore tempo. Voler subito raggiungere un obiettivo senza darsi tempo, anzi creando ansia, è più che mai nocivo. Dando l’esempio (non ordinando o imponendo) bisogna abituare (e abituarsi) all’attesa, ad aspettare, a darsi e dare tempo, a fare passo dopo passo il nostro cammino: solo la progressione di avvicinamento ha permesso alla donna di consolidare la strada fatta quotidianamente (il sapere acquisito) oltre al coraggio impiegato per percorrerla, elemento necessario peraltro a compiere passi sempre nuovi, per quanto pochi ma ogni giorno qualcuno in più. Così si accresce anche l’autostima e davanti al leone si deve fare solo il gesto decisivo, non tutto lo sforzo dal nulla.
Inoltre solo nel tempo può avvenire una ricerca vera (anche scientifica), sviluppando dubbi, curiosità, soluzioni e soprattutto quesiti nuovi per “abitare un paese di domande e poche risposte” (A. Canevaro), comunque da cercare senza preconcetti, poiché ancora tante sono le cose da scoprire. E la vera autonomia sta nel riconoscere le proprie dipendenze dall’altro (non siamo monadi), i propri limiti certo ma anche la capacità di organizzarsi con quei limiti. La vera autonomia è coabitare con tante domande dandosi il tempo delle risposte.
E tempo ci vuole per far entrare in circolo le idee, le discussioni avute anche con gli amici e il perdono, altra parola magica. A proposito di discussioni, non bisogna evitare il conflitto, anzi, è salutare e va affrontato, certo nel rispetto reciproco e mai con la volontà di annullare l’altro: avere pazienza, imparare la pazienza, dimostrare la pazienza, parola legata al “patire”, alla “compassione”, alla capacità di sano “compromesso”, ovvero promettere insieme, andare insieme verso il futuro, verso persone diverse, verso il bene comune grazie alla capacità di immedesimarsi nel pensiero dell’altro, di essere empatici.
Tutto questo è difficile? Sì, senza dubbio. Ma è ciò che davvero prolunga la nostra vitalità e in definitiva riempie di senso il vivere la vita.
Ps. Vorrei sottolineare l’atteggiamento di Andrea Canevaro durante la conversazione: non un professore e fra i più importanti del settore essendo uno dei padri della Pedagogia speciale, ma solo un uomo carico di umanità, umiltà, voglia di incontrare e condividere. Dunque, anzitutto, un grande Uomo.
[1] Presso l’Aula Magna della Scuola Media Statale di San Pietro in Campiano (Ravenna), mercoledì 6 marzo 2013, ore 17.15, con la partecipazione di M. Grazia Bartolini e Mirella Borghi.
L’ha ribloggato su unientee ha commentato:
Una fiaba etiope. O: approcciarsi ad un momento di crisi
E’ un invito a tutti i colleghi ad usare la Pedagogia con i minori DSA, rifiutiamo l’approccio psichiatrico, conquistiamo il nostro leone!
Fermarsi a riflettere…scoprire in noi quel coraggio che credevamo di non avere…arrivare al cuore dell’Altro con la semplicità di un gesto…assaporare la gioia profonda, figlia della perseveranza…questi sono solo alcuni dei “semi” che la saggezza di un Professore ha donato alla mia mente e al mio cuore quel pomeriggio del 6 marzo 2013 e che ho avuto il piacere di condividere con i miei amici Francesca e Luca. Grazie!
E’ stato un pomeriggio fantastico e incredibilmente “umano”!