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Archive for febbraio 2023

Typoèsien Heinz Waibl – Siegfried Höllrigl A cura di Andrea Muheim, Kuno Prey, Ursula Schnitzer, Lioba Wackernell

  25.02 – 04.06.2023 opening 24.02.2023, h 19 Kunst Meran Merano Arte Via Portici 163, Merano
Dalla stampa tipografica alla grafica computerizzata Siegfried Höllrigl, titolo con caratteri in legno e piombo per un’edizione dell’artista Sergio Pedrocchi, 2016 Courtesy Siegfried Höllrigl Heinz Waibl, manifesto Segno, Alfabeto, Scritture, Linguaggi, 1998 Courtesy collezione m.a.x. museo, Chiasso (Svizzera)
Kunst Meran Merano Arte dedica la sua prossima mostra alla Typoésie, termine francese che unisce “tipografia” e “poesia” in riferimento alla pratica di composizione dei testi incentrata su aspetti come l’armonia, la precisione e l’equilibrio. Protagonisti dell’esposizione, due amici molto legati a Merano, Heinz Waibl (1931-2020) e Siegfried Höllrigl (1943), che hanno padroneggiato perfettamente questa pratica.   Typoèsien – Heinz Waibl, Siegfried Höllrigl è la prima retrospettiva postuma di Waibl e la più ampia mostra di Höllrigl, e si riallaccia idealmente alla complessa ricerca che nel 2019 Merano Arte ha dedicato al design del prodotto in area alpina (Design from the Alps), concentrando questa volta l’attenzione sulla grafica.   Kurt Schwitters ha affermato: L’obiettivo di tutte le forme di tipografia è quello di creare relazioni. Questa affermazione descrive perfettamente ciò che Heinz Waibl e Siegfried Höllrigl sono riusciti a realizzare con le loro opere – che si tratti di progettazione grafica quanto di stampa manuale – attraverso una modalità diretta, riconoscibile e immediata.   Heinz Waibl proveniva dalla tradizione analogica e artigianale dell’estetica Bauhaus e si era poi rivolto, grazie agli insegnamenti del grafico svizzero Max Huber, alle prime esperienze nel mondo della comunicazione e del marketing digitali in grandi centri del design come Milano e Chicago. Siegfried Höllrigl, invece, apriva il suo laboratorio di letteratura, tipografia e grafica nel 1985, proprio quando le tecniche digitali portavano alla scomparsa della composizione manuale dalle tipografie. Aveva acquistato attrezzature di stampa in disuso e nei decenni successivi si è affermato sul piano internazionale per il valore delle sue edizioni realizzate a mano. È difficile pensare a due carriere professionali più distanti e a due realtà più diverse di Milano e Merano, eppure Waibl e Höllrigl hanno creato per anni, nei loro studi, opere di altissima qualità, incontrandosi spesso a Merano a partire dal 1995 e sperimentando differenti tecniche di stampa a mano nel laboratorio Offizin S. di Höllrigl. L’atmosfera e i materiali del laboratorio di vicolo Haller ricordavano a Waibl gli inizi della sua carriera. Particolare attenzione va riservata alla raccolta Passerblätter, che comprende sette “tipoesie” a colori, costituite da stampe materiche realizzate con lettere in legno e piombo. Questo lavoro rappresenta l’anello di congiunzione tra i due protagonisti della mostra.   La mostra di Merano Arte intende raccontare queste due figure attraverso una selezione delle loro opere più significative e quindi concentrando la ricerca sulla grafica e sulla tipografia. Entrambi i loro approcci dimostrano che, come affermato da Kurt Weidemann, la buona tipografia non ricerca ciò che possibile, ma richiede ciò che è necessario: unavirtù che spesso sembra essersi persa nell’attuale marea di possibilità offerte dalla grafica e dalle tecnologie di comunicazione.   Al terzo piano di Merano Arte verrà allestito un laboratorio di stampa che permetterà al pubblico di sperimentare le diverse tecniche di stampa a mano: la semplice stampa con patate, la serigrafia, la stampa diretta di piante, la tecnica Ebru, la stampa e la composizione con caratteri in piombo e legno e molte altre tipologie. Grazie alla partecipazione di Siegfried Höllrigl, Brigitte M. Widner, Kuno Prey, Matthias Pötz, Ada Keller e Julia Prugger, l’ampio programma di workshop previsti durante i mesi della mostra sarà un’occasione unica per familiarizzare con la poesia della stampa a mano. Anna Gabrielli e Hannes Egger cureranno inoltre l’offerta didattica rivolta a tutti i livelli scolari e prescolari.   Il progetto è realizzato in collaborazione con il Brennerarchiv dell’Università di Innsbruck (A), dove è conservato il fondo di Siegfried Höllrigl, e con il m.a.x. museo Chiasso (CH), che custodisce il lascito di Heinz Waibl. L’iniziativa è inoltre patrocinata dall’associazione AGI – Alliance Graphique Internationale.   La pubblicazione omonima che accompagna la mostra comprende testi di Markus Bundi, Siegfried Höllrigl, Maria Piok, Kuno Prey e Mario Piazza. Concepita come una doppia monografia, essa riunisce le opere più importanti dei due artisti, che nella parte centrale s’incontrano nella serie progettata insieme Passerblätter, che comprende sette “tipoesie”. La pubblicazione è stata resa possibile dal generoso sostegno di Schweitzer Project e Lichtstudio Eisenkeil. La realizzazione è stata accuratamente eseguita dalla tipografia Medus di Merano, su carta Fedrigoni, Arena White Smooth, gentilmente fornita da Fedrigoni Paper.   Il grafico Heinz Waibl (1931-2020), proveniente da una famiglia meranese, è considerato uno dei maggiori esponenti della comunicazione visiva del XX secolo. La sua carriera professionale si è svolta principalmente a Milano, Chicago e Johannesburg. Dopo aver abbandonato gli studi di architettura al Politecnico ha deciso di dedicarsi alla professione di graphic designer, diventando assistente presso lo studio del grafico svizzero Max Huber a Milano. In questa fase ha realizzato importanti progetti per La Standa, La Rinascente e Borsalino. La sua lunga carriera professionale è stata caratterizzata da importanti premi e riconoscimenti – come il Compasso d’Oro nelle edizioni del 1956 e del 1987 – nonché da numerose collaborazioni con rinomate aziende italiane e internazionali e istituzioni pubbliche. In particolare, a Milano ha avuto modo di coltivare intense collaborazioni con noti architetti, designer e artisti che hanno portato alla realizzazione di incarichi di grande complessità e interesse: unendo la tradizione dell’estetica Bauhaus alla allegra leggerezza della grafica pubblicitaria italiana degli anni ’50, Waibl ha creato uno stile che sarebbe poi diventata il suo marchio di fabbrica. Il lavoro di Waibl ha lasciato un segno anche nella storia dell’imprenditoria locale, attraverso la collaborazione con diverse aziende altoatesine, tra cui FLOS nel 1961, all’epoca ancora giovane marchio di lampade fondato a Merano, per cui disegnò il logo. Dal 1971 al 2004, Waibl è stato inoltre titolare di una cattedra in Visual Design alla Scuola Politecnica di Design di Milano. Nel 1974 è diventato membro dell’AGI – Alliance Graphique Internationale e dal 1994 al 2003 è stato presidente della sezione italiana della stessa AGI.   Siegfried Höllrigl (1943), compositore tipografico e correttore di bozze, nel 1985 ha fondato a Bolzano il suo laboratorio di letteratura, tipografia e grafica, che poi venne trasferito a Merano nel 1987. Nel 1993, con il sostegno di Brigitte M. Widner, Offizin S. è divenuta un’attiva a tempo pieno, iniziando a farsi un nome oltre confine per le sue stampe a foglio singolo, i suoi opuscoli per bibliofili e i suoi libri. Dal 2006 al 2013 Offizin S. ha pubblicato poesie con integrazioni grafiche in 23 edizioni. Dal 2016 l’attività si è concentrata sul progetto di pubblicazione di 101 poesie in formato poster intitolate 101 Gedichtplakate. Höllrigl è anche cofondatore dell’Unione Autrici e Autori Sudtirolo e scrittore egli stesso. Nel 2011 edition laurin ha pubblicato il suo diario di viaggio Was weiß der Reiter vom Gehen – Tagesnotizen einer Wanderung von Basel nach Istanbul [Cosa sa il cavaliere del camminare – appunti quotidiani di un cammino da Basilea a Istanbul] seguito nel 2019, sempre per lo stesso editore, dalla raccolta di brani in prosa dal titolo Mein Amerika [La mia America].
Typoèsien – Heinz Waibl, Siegfried Höllrigl   A cura di: Andrea Muheim, Kuno Prey, Ursula Schnitzer, Lioba Wackernell   Durata della mostra: 25.02 – 04.06.2023

  Inaugurazione: 24.10.2023, h 19   

  Conferenza stampa: 23.02.2023, h 9.30   Luogo: Kunst Meran Merano Arte | Via Portici 163, 39012 Merano   Orari: martedì-sabato: 10-18. Domenica e festivi: 11-18   Infoinfo@kunstmeranoarte.org | www.kunstmeranoarte.org
Press office:
Irene Guzman | press@kunstmeranoarte.org | Ph. + 39 349 1250956 (ufficio stampa nazionale)    

Anna Zinelli | zinelli@kunstmeranoarte.org | Ph. + 39 0473 212643 (ufficio stampa locale)

  Press office (German language):
Ursula Schnitzer | schnitzer@kunstmeranoarte.org | Ph. + 39 0473 212643  

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Greta Schödl, Grigio La Spezia, 2022, inchiostro e foglia d’oro su marmo grigio Portoro, 10.3 x 10.8 x 5 cm

Al via dal 28 gennaio scorso all’11 marzo la personale di Greta Schödl dal titolo Il segno traccia del nostro vissuto, a cura di Silvia Evangelisti, presso LABS Contemporary Art. La mostra, organizzata nell’ambito di ART CITY Bologna 2023 in occasione di ARTEFIERA, presenta una selezione di opere inedite dell’artista austriaca, nata nel 1929.

Il lavoro di Greta Schödl incorpora lettere e simboli, ripetuti ritmicamente fino a renderli astratti. Forme geometriche e segni decisi si intrecciano con le parole, illuminate con foglia d’oro e fuse su diverse superfici: pagine di libri botanici, mappe, carte, foglie, pezzi di marmo, lenzuoli, che portano memoria di esistenza passata. Attraverso la combinazione di rappresentazione linguistica e visiva, Schödl cancella il significato originale delle parole e degli oggetti che usa impregnandoli di un nuovo significato, sfidando i costrutti sociali del linguaggio e suggerendo forme alternative di espressione e interpretazione.

Greta Schödl, Senza titolo, (Serie SCRITTURE), anni Ottanta, pagina di libro antico, fiori, pastello, carta di riso, inchiostro di china nero, foglia d’oro, 14 x 15 cm

Attiva dagli anni Sessanta, Greta Schödl partecipa nel 1978 alla 38ma Biennale di Venezia e nel 1981 alla Biennale di São Paulo in Brasile. Le sue opere sono presenti in diverse collezioni nazionali e internazionali oltre che in diversi musei, tra cui la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, il MART di Rovereto, il MAGA di Varese, e il National Museum of Women in the Arts di Washington (USA). 

Press Irene Guzman

Greta Schödl, Senza titolo, 2022, inchiostro e foglia d’oro su marmo, 36 x 12 x 9,5 cm

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Enzo Cacciola, 10-4-1974, superficie integrativa, pittura industriale, cm70x140, courtesy Archivio Cacciola

Pubblico di seguito l’intervista al maestro Enzo Cacciola (Arenzano, GE, 1945), già editata lo scorso dicembre 2022 sul numero 101 di Graphie (Il Vicolo, Cesena).

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Enzo Cacciola, Rocca Grimalda (AL), 2017, courtesy Ivan Falardi

Intervista a Enzo Cacciola. Il tempo e la materia

di Luca Maggio

Maestro Cacciola, potrebbe raccontare delle sue esperienze formative e artistiche a partire dagli anni ‘60?

Da studente, in Liguria, ho frequentato il liceo artistico. Alla metà degli anni ’60 avvengono incontri determinanti per il mio futuro all’Hotel Orizzonte di Varazze, dove nelle estati si viveva un’intensa attività culturale. Ho conosciuto Mauro Reggiani, Mario Nigro, Salvatore Quasimodo, Françoise Gilot, ecc. La mia formazione iniziale è legata alla geometrica classica – si pensi a Malevič o Mondrian e più avanti alla magia di Albers – producendo una serie di lavori che però non ho esposto, aspettando di affinare la mia ricerca, sino a quando nel 1971 ho avuto un esordio importante inaugurando la prima esposizione legata alle superfici alla galleria La Bertesca di Genova. Tuttavia erano quelli gli anni del concettuale e io stesso, molto giovane, volendo mettermi in costante discussione – come poi ho continuato a fare lungo tutto il corso della mia vita – desideravo inserire il “concetto” nella mia geometria.

Ed ecco le sue “superfici integrative”.

Infatti. Sono composte da tre elementi geometrici semplici e netti, in cui ad esempio un quadrato maggiore ne racchiude o inscrive uno minore, ma fra i due vi è uno spazio bianco, la parete stessa, e il terzo elemento, il rettangolo, è accostato ai primi due quadrati e non attaccato a essi, proprio per lasciare in evidenza la parete bianca che così viene “integrata” nell’opera: il muro entra a far parte dell’opera: ecco il “concetto” e così le mie geometrie iniziali divengono concettuali.

Trovo straordinari e attualissimi questi lavori proprio per l’intuizione di coincidenza spaziale che li sottende e li anima. Mi spiego. Come sostiene anche il noto geografo Franco Farinelli, dall’invenzione della prospettiva fiorentina si è sempre letto il mondo con una distanza fra soggetto e oggetto, cosa poi codificata a livello filosofico da Cartesio (res cogitans e res extensa). In queste sue superfici invece l’opera integra parti di mondo, aderisce alla parete e la mostra come parte di sé, annullando la distanza. Del resto, più o meno nei medesimi anni, nel 1969, quasi in sordina nasceva Internet, o meglio Arpanet, la prima rete, il “luogo” dove la distanza non ha più senso. È come se lei avesse perfettamente colto lo spirito del suo tempo e del tempo a venire, il nostro.

L’arte è la testimonianza di ciò che accade nella società in un dato momento storico e dunque muta espressivamente per intuire, documentare e interpretare le differenti modificazioni che avvengono. Le faccio un esempio personale. Dopo i moti del ’68 che dal maggio francese arrivarono anche a Genova, è cambiato il mio modo di pensare. Ci si è avvicinati al mondo operaio e ai colori e ai materiali legati ad esso. Quindi se tela e telaio sono fatti da me, dalla mano dell’uomo, la pittura, i colori non potevano più essere ad olio tradizionale, ma industriali. Era una scelta anche politica ed è stato molto bello essere giovani in quel periodo poiché si respirava e c’era davvero un fermento che oggi, nell’attuale palese disorientamento, si stenta a trovare. Credo che senza il ’68 queste opere, queste mie riflessioni e questa svolta non sarebbero state in essere. Tenendo però conto che gli elementi in arte devono essere pochi ma estremamente significativi.

Enzo Cacciola, 9-3-1976, cemento su tela, cm100x150, courtesy Andrea Daffra

Il passaggio successivo – siamo negli anni ’70 – molto coerente in quanto all’uso di certi materiali industriali, è stato quello degli asbesti e dei cementi, in cui però, con le colature, si attua un progressivo azzeramento anzitutto delle geometrie precedenti e poi delle cromie stesse, essendo tutto giocato sul grigio, benché vi siano mille variazioni di questo colore e anche altri artisti come Alan Charlton lo abbiano preso come veicolo espressivo e campo di indagine privilegiato.

Come le dicevo poc’anzi, è il tempo a produrre questi passaggi e il modo mio di pensare e agire è legato all’evoluzione e alla meditazione sul tempo. Il processo di azzeramento era per me inevitabile proprio perché venivo dalle perfezioni geometriche. Sebbene con una distinzione fondamentale. In questa nuova fase, pur continuando a usare materiali industriali, io non dipingo più, “realizzo” un lavoro ed è poi questo stesso lavoro che diventa opera. Quando passo la prima stesura di cemento, un po’ di questo cola ai lati e così dopo la prima asciugatura nelle due successive stesure c’è sempre un po’ di dripping laterale sino alla gelatina finale che definisce il termine dell’opera. Poi però è lo stesso materiale a trasformarsi per reazioni chimiche interne e casuali, per cui emergono forme che parrebbero informali ma non lo sono, visto che io, a differenza ad esempio di Pollock e Vedova, non le ho volute dipingere: è il materiale che si autodipinge e così, autodeterminandosi, il lavoro diventa opera e il cemento diviene testimonianza del rapporto fra un pensiero e un processo operativo.

Amo mettere in comunicazione linguaggi differenti e trovo che questi suoi azzeramenti siano accomunabili a quella che in poesia viene definita litote, ovvero la figura retorica che afferma negando, per cui da una parte c’è un indubbio annullamento delle sue architetture geometriche precedenti, ma proprio la loro scomparsa per via del cemento, protagonista unico e attivo del nuovo lavoro nel processo sopra descritto, afferma con forza la presenza dell’opera.

Sicuramente c’è una grande forza in queste presenze e aggiungo che tutto nasce da materiali relativamente semplici come il cemento appunto o la vecchia colla Vinavil, lattiginosa e poi trasparente e, talvolta, l’acqua. Ci sono alcune superfici di questi miei reperti – li chiamo così, ma sono effettivamente opere – che sono lisce, prive di craquelé. Altre invece in cui è presente. Se volevo un effetto diverso, più mosso, con giochi di ombre e luci, durante l’asciugatura dell’ultimo strato, mi bagnavo la mano con l’acqua e la passavo sopra a ogni centimetro in modo da ottenere le microfratture successive sempre grazie alla risposta e alla combinazione dei vari elementi presenti. Il tutto diventa così dal mio punto di vista un’operazione estremamente naturale.

A questo punto le chiedo di parlarmi della sua esperienza a documenta 6 a Kassel nel 1977.

Venni invitato in quella importante occasione da Klaus Honnef e Evelyn Weiss per i miei cementi. Tuttavia mi presi la responsabilità di dire ai due commissari che non avrei esposto quei lavori, piuttosto qualcosa di apparentemente spiazzante. Chiesi una tela di Tiziano. In particolare avrei voluto quella con l’Allegoria della Prudenza e le tre età dell’uomo in cui, in cima, compare la scritta latina che recita: “Dal passato il presente agisce con prudenza per non rovinare l’azione futura.” Era impossibile da avere, ma la Weiss mi trovò ugualmente nella sua Colonia un’altra opera tizianesca che esposi col mio nome sotto e un manifesto in cui in italiano spiegavo le mie ragioni circa la necessità di un serio momento di riflessione sul mio lavoro e sul mio comportamento e ruolo di artista dopo l’azzeramento totale dei cementi. E lo feci proprio partendo dall’antico in una delle situazioni contemporanee più avanzate come Kassel.

In ultima battuta, rivedendo tutto il suo percorso, dagli esordi sino agli esiti più recenti, penso ai “multigum” degli ultimi decenni col loro equilibrio precario così rispondente al presente liquido che tutti stiamo vivendo, passando anche per i cementi neri degli anni ’80, trovo un filo rosso nell’attenzione (ovvero osservazione e ascolto) della materia che implica processualità specifiche e volutamente manuali.

Certo, in questo senso a me piace definirmi sì artista, ma anche super-artigiano. Riguardo ai “multigum”, i bulloni sono al contempo un esercizio di forza e leggerezza poiché per un attimo stringono e saldano i due telai provocando l’uscita e l’ingresso di una parte della materia nella saldatura e poi, allentati, cessata la loro funzione, possono anche girare a vuoto, sebbene restino concettualmente presenti ed evidenti. I cementi neri invece rappresentano una rinascita. Ho spiegato prima come i cementi del decennio precedente si “autoproducevano”. Negli anni ’80, aggiungendo del pigmento nero al cemento, sono tornato a dipingere, intervenendo ulteriormente su queste tele con alcuni segni, con un mio personale alfabeto gestuale. Dunque l’artista rinato torna a produrre l’opera, significativamente partendo dal nero. Non a caso, proprio dopo questi cementi neri arrivano i “multigum”, in cui torna anche il colore e sono presenti elementi precisi e definiti insieme alla linea di giuntura centrale irrazionale. Il punto è che nella mia storia, in tutti questi passaggi che possono sembrare anche distanti fra loro, c’è invece molta coerenza, che non consiste nel ripetere lo stesso gesto o nell’attuare azioni eclatanti per stupire gratuitamente, cose queste di nessun interesse per me. La coerenza è data dal compiere gesti coerenti col tempo e legati al succedersi dei vari passaggi storici. Ogni momento storico necessita di gesti differenti e tutto il mio agire è legato all’evoluzione del tempo.

Enzo Cacciola, n.7 2012, multigum su tela e ferro, cm120x71, courtesy Andrea Daffra

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