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Archive for the ‘pittura’ Category

Yumi Karasumaru
Yumi’s New School – ユミの新しい学校
a cura di Roberto Pinto 
10 maggio – 1 giugno 2024
Opening: venerdì 10 maggio, ore 19-22
Alchemilla, Palazzo Vizzani

Via Santo Stefano 43, Bologna
Yumi Karasumaru, The Storyteller – il narratore, The Double Pop Songs, 2023
Venerdì 10 maggio 2024 alle ore 19, a Palazzo Vizzani, sede dell’associazione bolognese Alchemilla, apre al pubblico Yumi’s New School – ユミの新しい学校, mostra personale di Yumi Karasumaru, a cura di Roberto Pinto. Il progetto Yumi’s New School, è stato cucito su misura sulla figura dell’artista Yumi Karasumaru, per svelare alcuni degli aspetti più significativi del suo lavoro. Nel percorso artistico di Yumi Karasumaru si intrecciano la relazione con le sue radici, il Giappone, e il suo approdo in Italia. Proprio questa distanza con la sua cultura di provenienza le ha permesso di ripercorrere ricordi, memorie, drammi personali e collettivi, riti e abitudini del Paese del Sol Levante, senza cadere nella trappola della retorica o del celebrativo, ma con uno sguardo interrogativo e conoscitivo. Nelle sue opere – sia nei quadri e nei disegni, sia nelle performance — troviamo la necessità di creare un dialogo con gli spettatori attraverso una contaminazione tra “Storia” e storie personali, tra collettivo, pubblico, e l’intimo, il privato.  Con Yumi’s New School, l’artista vuole ulteriormente assottigliare la distanza con il pubblico costruendo un’esperienza condivisa sia attraverso due distinte performance sia trasformando una parte dello spazio espositivo in un suo studio temporaneo in cui i visitatori saranno invitati a lavorare accanto a lei per tutta la durata della mostra, condividendo i processi ideativi e realizzativi. La performance inedita che si potrà vedere in occasione dell’inaugurazione del 10 maggio, Pro-Memoria di Onoda – l’ultimo samurai, si incentra sull’incredibile esperienza di Hiroo Onoda, soldato giapponese, rimasto per quasi trenta anni nella giungla di una sperduta isola nell’arcipelago delle Filippine, credendo che la seconda guerra mondiale non fosse finita. La performance che sarà presentata il 22 maggio, The Double Pop Songs, è frutto di una selezione di canzoni pop giapponesi, denudate dalla musica, le cui parole saranno proiettate sul corpo dell’artista in kimono bianco, come fosse uno schermo. Due sale verranno allestite con una serie di dipinti: la prima comprenderà una decina di lavori selezionati dalla vastissima serie “Facing Histories” realizzata nel 2015, in occasione dell’anniversario dell’esplosione atomica di Hiroshimae e Nagasaki; nella seconda sala troveranno spazio alcuni lavori di medie dimensioni su tela e su carta della nuova serie “Learning from the past”, ispirata all’arte giapponese del periodo Edo. Una terza sala sarà dedicata alla proiezione dei video delle performance realizzate dall’artista durante la sua carriera. Una quarta sala, infine, ospiterà il suo atelier temporaneo, un laboratorio aperto a tutti il cui l’obiettivo è di lavorare insieme, discutere, offrire il proprio sguardo e accogliere lo sguardo altrui. Si potrà, dunque, assistere al processo di realizzazione di un’opera dell’artista, per capire dall’interno la sua poetica, e anche provare a disegnare accanto a lei. 

Performance:
10 maggio, ore 21Pro-Memoria di Onoda – l’ultimo samurai
22 maggio, ore 20 e 21 (necessaria la prenotazione)The Storyteller – il narratore, The Double Pop Songs 

Incontri:
16 maggio, ore 18, con Roberto pinto23 maggio, ore 18, con Uliana Zanetti 30 maggio, ore 18, con Igort

Yumi Karasumaru è nata a Osaka e attualmente vive e lavora tra Bologna e Kawanishi, in Giappone. Ha conseguito la laurea all’università d’arte di Kyoto e il diploma all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Dagli inizi degli anni Novanta la ricerca di Yumi si sviluppa parallelamente tra immagine pittorica e performance, perseguendo un’intensa indagine culturale che riguarda il rapporto tra presente e passato del suo paese d’origine. In questo stesso periodo ha preso parte come pittrice e performer a importanti rassegne internazionali in Europa, Stati Uniti e Giappone. Tra le sue più recenti esposizioni: Learning from the Past – 温故知新 (2024, L’Ariete artecontemporanea, 2023, Katsuya Susuki Gallery, Tokyo), Facing Histories (2023, Galleria Paola Verrengia, Salerno, 2016, Museo d’Arte Moderna di Bologna; 2015, Roppongi Hills A/D gallery,Tokyo, @Kcua Kyoto City Univesity Arts Art Gallery, Kyoto; 2014, Galerie Houg, Lione), Woven (2021, Katsuya Susuki Gallery,Tokyo). Tra le performance: Storyteller – il narratore, Breve storia del Giappone in tre quadri e 93 parole  (L’Ariete artecontemporanea, Bologna, 2024), The Double Pop Songs for Salerno (Galleria Paola Verrengia, Salerno, 2023). www.karasumaru.net 

Alchemilla è un’associazione culturale non-profit che sostiene la ricerca, la sperimentazione e la produzione di progetti nell’ambito delle arti visive e performative, mettendo in relazione le figure professionali coinvolte, con particolare riguardo e cura verso i giovani talenti. Lo spazio di Alchemilla è pensato per ospitare artisti, curatori, performer e intellettuali, di passaggio o in residenza. L’associazione dispone di quattro studi dove ospita artisti per lunghi periodi, una stanza dedicata alla residenza di artisti under 30, organizza mostre, performance, incontri, presentazioni e workshop. La natura ibrida e interdisciplinare dei progetti proposti rende Alchemilla un luogo di sperimentazione e di contaminazione. Gli ambienti dell’associazione sono multifunzionali e versatili e si trovano all’interno di Palazzo Vizzani, uno degli edifici più significativi della fine del ‘500 bolognese, dove il passato e il presente si incontrano vivificandosi reciprocamente. 

Yumi Karasumaru. Yumi’s New School – ユミの新しい学校
A cura di:
 Roberto Pinto
Periodo: 10 maggio – 1 giugno 2024
Inaugurazione: venerdì 10 maggio, ore 19>22
Sede: Alchemilla | Palazzo Vizzani, via Santo Stefano 43, Bologna
Promossa da: Alchemilla
Si ringrazia: Banca di Bologna
Con il sostegno di: Associazione Culturale Acribia
Orari: da mercoledì a sabato, ore 15>20
Ingresso: libero
Progetto grafico: Michele Battaglioli 
Informazioni: info@alchemilla43.it | www.alchemilla43.it 
Ufficio stampa: Irene Guzman | irenegzm@gmail.com | +39 349 1250956
Yumi Karasumaru, FACING HISTORIES  n.9  Rosed Himeyuri, 2015, 25×35 cm
Yumi Karasumaru, FACING HISTORIES  n.11  Atomic Series – Nagasaki, 2015, 25×35 cm
Yumi Karasumaru, LEARNING FROM THE PAST – 温故知新  n.19, 2023, 35x35x4 cm  

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A dieci anni dal suo ultimo evento espositivo, Spazio Morris torna in scena con A NEW GOLDEN AGE OF GUANO,personale dell’artista Andrea Kvas, ospitata dal 6 aprile al 12 maggio all’interno dello Studio Giovanni de Francesco a Milano. 

Andrea Kvas, Senza titolo, 2021, resine naturali, resine sintetiche e pigmenti su tela, 50 x 40 cm

A NEW GOLDEN AGE OF GUANO è un’installazione site-specific immersiva realizzata da Kvas all’interno dello spazio espositivo nei sette giorni precedenti l’opening, durante i quali il pubblico potrà accedere liberamente al work in progess dell’opera. A partire da una forma astratta che ricorda il profilo di un uccello, riprodotta in un migliaio di esemplari, l’artista intende agire per stratificazione secondo una processualità estremamente organica, intuitiva e viscerale: l’immagine diventa così materia prima capace di saturare lo spazio in varie forme e combinazioni, attraverso l’uso di resine sintetiche, pigmenti e impasti di cellulosa.

Andrea Kvas, Senza titolo, 2021, resine naturali, resine sintetiche e pigmenti su tela, 40 x 50 cm

Il lavoro di Andrea Kvas fonde un approccio istintivo e giocoso alla pittura con l’analisi e la riconsiderazione dei codici che contraddistinguono questa disciplina. Radicalizzando, decostruendo e ricostruendo in particolare il rapporto tra la pittura e i suoi supporti, la sua ricerca pittorica richiede diversi schemi di fruizione; un atteggiamento che ha portato Kvas a trovare intersezioni con pratiche scultoree, performative e relazionali. La pittura non è intesa semplicemente come oggetto di contemplazione, ma come strumento per instaurare dialoghi attivi con altri oggetti, ambienti e pubblico, con l’obiettivo di enfatizzare la contingenza della materialità.

Accompagna la mostra un testo dell’artista Valerio Nicolai.

Ingresso su appuntamento

Tel. +39 346 3165454‬

mail spaziomorris10@gmail.com

Irene Guzman press 

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Di seguito presento il testo critico in catalogo per la doppia personale di Giuliano Babini e Maurizio Pilò da me curata insieme all’amico Roberto Pagnani presso il Centro Culturale Mercato di Argenta.

Vi aspettiamo all’inaugurazione domani, sabato 16 marzo alle 17.30, per festeggiare insieme agli artisti. Non mancate!

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Muta Natura

di Luca Maggio

“Solo questo esiste: aggregazione e disaggregazione di ciò che fu aggregato.” Empedocle

È tutto nel titolo. Si presentano qui le opere di due artisti diversi, Giuliano Babini e Maurizio Pilò, che interrogano le cose della natura giungendo da poli opposti a far toccare gli archi del loro fare in un cerchio vitale di continuità. Del resto, nel greco antico la medesima parola racchiude un duplice significato, secondo di dove si sposti l’accento: bíos è la vita, biós è l’arco.

Tendendo la corda del pensiero per trapassare “gli margini del mondo”, direbbe Giordano Bruno ne la Cena de le ceneri, i due nostri artefici hanno dato corpo a quadri, sculture musive e installazioni ideate appositamente per lo spazio Centro Culturale Mercato di Argenta, lasciando a noi l’ambiguità di interpretare in lingua italiana o latina questo titolo: Muta Natura.

Si parla dunque di natura. Lo si fa con oggetti d’arte muti, silenziosi per definizione, ma non inerti. Non era forse De Chirico a definire le sue nature morte come vite silenti?

Si parla dunque di natura. Lo si fa con oggetti d’arte che sono in mutazione continua, hanno cambiato la pelle di ciò che in essi viene (rap)presentato e, seguendo un percorso tracciato dagli stessi Babini e Pilò con un elemento installativo da loro realizzato – in cui sono citate le canne palustri tipiche della zona argentana – e disposto fra i due principali ambienti espositivi, si va dai lavori scultoreo-musivi tridimensionali di Babini, posti a terra, alle grandi tele bidimensionali e inedite di Pilò a parete, sebbene per Babini sia previsto anche un tondo pittorico da appendere e per Pilò alcune tecniche miste precedenti da collocare sul pavimento, in un dialogo speculare di reciproca appropriazione dei locali a disposizione.

Giuliano Babini

Maurizio Pilò

Guardando questi manufatti in sé e nel loro vicendevole compensarsi, viene alla mente Lucrezio: “nec manet ulla sui similis res: omnia migrant,/ omnia commutat natura et vertere cogit” – “nulla resta uguale a sé stesso: tutto cambia,/ la natura tutto trasforma e costringe a mutare” (De Rerum Natura, 5, 830-831). Come se tutto ciò che è presente in queste sale provenisse da una medesima fonte invisibile e, materializzandosi nelle proprie varietà formali, avesse raggiunto l’isonomia lucreziana, ovvero l’equilibrio dei contrari che pone alla nostra attenzione le orizzontalità e verticalità così differenti di queste opere, ma originatesi dal libero incontro-scontro-deviazione della caduta o inclinazione o clinamen corpuscolare che tutto genera nella fisica epicurea: il filo d’erba e il pianeta che lo contiene, infiniti altri mondi e le cellule del nostro occhio o quelle delle antenne della formica, ogni materia, ogni energia, la luce, persino i segni di inchiostro, le tessere-lettere che compongono la parola da voi appena letta.

Nel minimo è il massimo e viceversa, Mandelbrot docet, o volendo affacciarsi alla saggezza orientale di Thich Nhat Hanh ne Il cuore della comprensione: “Nel foglio di carta è presente ogni cosa: il tempo, lo spazio, la terra, la pioggia, i minerali del terreno, la luce del sole, la nuvola, il fiume, il calore. Ogni cosa co-esiste in questo foglio. ‘Essere’ è in realtà inter-essere (…). Non potete essere solo in virtù di voi stessi, dovete inter-essere con ogni altra cosa. Questa pagina è, perché tutte le altre cose sono.” La metamorfosi è costante.

Le creature babiniane, da inserirsi nel flusso artistico post-human, sebbene siano anzitutto una galleria animale, giungono a noi come cose altre, geneticamente modificate e tuttora in mutamento, o forse lo siamo noi con la nostra artificialità rispetto a loro: hanno attraversato altre notti, altri sogni, paralleli mondi per raccontarci di Goya e di Bosch, di miti classici antichissimi divenuti contemporanei e tuttavia conservano in ogni parte loro la natura, una natura cui non siamo abituati per pigrizia di immaginazione, il locus da cui provengono. È pelle la loro, è corpo, sono denti ossa corna incistate, è mosaico, è pelle che si volge in mosaico o il contrario, come avviene nei rettili. D’altronde l’ibridazione è nel loro DNA. Hanno letto Ovidio, pregano come Dafne, risalgono da abissi primordiali, costituiscono una memoria nuova e preludono a futuri di nature mutate fra bucrani blu e teschi verde-azteco. E in mezzo a tante mirabilia post-zoologiche appare l’autoritratto dell’artista, pietrificato, su cui si innesta la conchiglia-orecchio, evocante le onde del mare nero-ardesia verso cui è volto il suo sguardo commosso, lontano.

Altre acque permeano i frammenti dipinti di vita nuova di Pilò. La partenza è fotografica: sono accumuli di immagini, “strati di giorni” li definisce l’artista, che si depositano anzitutto nella sua memoria, sui quali il tempo della riflessione silenziosamente agisce. Il primo scatto non raffigura nulla di eclatante, anzi, spesso sono particolari ravvicinati di luoghi soggetti a degrado, inariditi, inquinati. Ecco l’abbandono. Su questa base incollata su supporto di tela o cartone, egli opera la trasformazione con acrilici, pastelli a olio, collage cartacei, scritte, foglie d’oro, cera d’api e quant’altro serva per nascondere il dato iniziale e rivitalizzarlo in acque blu e verdi quasi fluo, in piante e erbe rigogliose, in un ritorno sontuoso alla vita selvatica. Ecco la rinascenza. La sfida che la pietas di Maurizio compie come necessità verso la grande Madre cui tutto dobbiamo. E le acque di cui sono intrisi i suoi lavori, rammentano quelle dantesche del Lete e dell’Eunoè, i due fiumi del Paradiso terrestre provenienti dalla medesima fonte divina e poi divisi, nei quali l’anima si deve immergere per accedere al Paradiso celeste: il primo è l’oblio, serve a dimenticare, a lavarsi dal male compiuto. Il secondo è “la memoria del bene”, la purificazione avvenuta. Il cammino nuovo può attuarsi, come queste opere compiutamente dimostrano.

Maurizio Pilò

Giuliano Babini

Di recente ho appreso la definizione sintetica quanto icastica che il fotografo Enrico Cattaneo dava delle opere d’arte: un oggetto + un’idea. Credo che questa occasione argentana ne sia testimonianza efficace, rivelando l’inedito, ciò che Muta Natura possa e voglia significare.

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Pubblico di seguito il testo critico per la personale di Federico Guerri Segni e matrici che ho avuto il piacere di curare presso la galleria Pallavicini22 di Ravenna dove resterà aperta dal 9 al 24 marzo 2024. Si inaugura domani alle 18.30, vi aspettiamo!

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Federico Guerri, Il vento si prepara, 2017, grafite, acquarello e pastello su tela, cm190x170

Federico Guerri. Segni e matrici

di Luca Maggio

“L’assenza comprime le cose, le penetra nella sua unità segreta.” Stéphane Mallarmé

Una pioggia babelica. Questa l’immagine residua nella mia mente dopo aver visitato lo studio di Federico Guerri. E, tra fitta goccia e fitta goccia, fra graffio-segno e graffio-segno, l’assenza fatta di colore. Nero e bianco o, nei tempi ultimi, in tinture differenti sulle superfici sue. Assenza che tale non è, sostanziando di sé il piccolo segmento o bastoncino o micro-rettangolo – cifra sua peculiare – che tenta di precisarla e, a sua volta, ricevendo perimetro ovvero forma e direzione dal segno stesso. Si completano a vicenda dando vita e estensione a ciò che dinanzi appare: porzioni di mondo metamorfiche e rizomatiche, quasi autogenesi potenzialmente infinite, architetture d’interni o esterne, figurazioni di appartamenti e singole stanze o visioni urbane o, anche, selvatiche, rovine romantiche e futuribili, di un futuro già “dimenticato a memoria”. Qui, nemmeno l’ombra dell’essere umano che, pure, deve aver realizzato abitato usato strutture così concepite.

Federico Guerri, Città sconosciuta, 2015 grafite acquarello e pastello su tela cm130x170

Federico Guerri, Sommerso, 2017, grafite, grafite, pastello e acquarello su tela, cm190x170

Cosa è la memoria? Di cosa è fatta la traccia che comunemente chiamiamo ricordo? Un engramma, qualcosa di abbastanza stabile che si basa su un accaduto o una costruzione ex novo o variazione a partire da ciò che crediamo ci sia stato? Forse, e più spesso di quanto si creda, la somma delle due possibilità.

Il demiurgo Guerri parte dal caos, dalla macchia informale su tela grezza non lavata e idrorepellente. Qualcosa aderisce, si attacca, dichiara il suo desiderio di essere. Inizia così, oculata, una definizione con pastello a cera bianca che conseguentemente vedrà apparire i segni-mattoncini-tessere-cellule che sono anche matrice di questi universi epidermici e assieme stratificati in complessi spazio-temporali doppiamente sovrapposti: c’è oggetto sopra altro oggetto, ci sono intersezioni sopra intersezioni, prospettive multidirezionali, ribaltamenti, sedie, mura, edifici, ponti, strade, vegetazioni rampicanti e porte, finestre, mobili che si interrompono, cambiano, altro divengono. E le memorie ci sono, unitamente a suggestioni volute o accidentali di mappe topografiche, vedute a volo d’uccello che corrono da Jacopo de’ Barbari a Hiroshige e viceversa (gli ordinamenti cronologici nella mente creativa perdono ogni senso), i geoglifici Nazca e le scenografie ottiche in assenza di esseri umani di Gabriele Basilico, c’è Piranesi e la malinconia pre e post romantica di questi fantasmi futuri di vestigia immaginate, ci sono le radiografie o meglio le rayografie di sistemi linfatici e sanguigni e neuronali di città e manufatti e la memoria, infine, del libro primordiale, delle incisioni rupestri sul nero dell’ardesia (roccia-metafora del costruire e dell’apprendere umani), “disegni fossili”, li chiama lo stesso Guerri, assetati di luce.

Federico Guerri, Pagine per appunti notturni, 2019, ardesie incise e oliate, cm50x70x32

Filo rosso di ciascun manufatto resta lo sfondo che opacizza e confonde una chiarezza di linee alfine annunciata ma non condotta alle conseguenze estreme. Un equilibrio risulta ma precario fra la chiazza sottostante e l’intrico all’apparenza ordinato su essa anteposto, ergo un bilanciamento fra il conatus spinoziano ovvero il desiderio insopprimibile e essenziale di ogni cosa a “perseverare nel proprio essere” e la resistenza a questo stesso desiderio che “è, almeno nell’arte, l’elemento decisivo – la sua grazia.” (G. Agamben, Creazione e anarchia, Vicenza 2021, p. 52)

Per certo, contano nel nostro artista anche le origini tipografiche e famigliari e la formazione in anni accademici sulla scultura, dove ogni grammo di materia pesa fra le mani dell’artefice.

Federico Guerri, Paesaggio, 2023, grafite e acquarello su tela cm 120×110

Federico Guerri, Paesaggio, 2023, grafite e acquarello su tela cm 120×110

Col tempo, nel corpo del suo fare, inscindibile è divenuto il colore, il nero anzitutto, dalla macchina decorativa e costitutiva soprastante, addensamento di ricordanze dissimili quanto consonanti, congiunte simultaneamente in iconografie costituite da pieni-vuoti attraverso la moltiplicazione del segmento-mattoncino oblungo a formare progetti edificatori imponenti, sebbene cavi come ossa di uccelli traversate dall’aria, pronte a spiccare in nuove mutazioni senza soluzione di continuità, fluide, come riportano (in C. Nooteboom, Verso Santiago. Digressioni sulle strade di Spagna, Milano 2023, p. 365) i versi dell’arabo andaluso Ibn Zamrak (1333 – 1393) sul bordo della vasca della fontana nel Patio dei Leoni all’Alhambra, scrittura-tessitura che emerge e si confonde al contempo con l’acqua che la lambisce: “Il solido e il liquido sono così vicini/ che non si sa quale dei due scorra,/no, non è acqua, quella che scorre verso i leoni/ è una nuvola di movimento fluido…”. Come Guerri fa accadere nelle sue geografie ipotetiche.

Federico Guerri, Camera, 2014, grafite, pastello e acquerello su tela, cm 170×150

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Domenica 4 febbraio 2024 alle ore 17:30 con ingresso libero presso lo spazio espositivo Pallavicini22 Art Gallery in Viale Giorgio Pallavicini 22 a Ravenna, si inaugura la personale di Roberto Pagnani “Amnesie (2015-2023)” a cura di Claudia Agrioli e con testi critici di Francesco Bianchini e Luca Maggio a catalogo.

La mostra rimarrà allestita fino a mercoledì 7 febbraio e le visite avverranno su prenotazione all’indirizzo mail pallavicini22.ravenna@gmail.com.

L’eventopromosso e organizzato da CARP Associazione di Promozione Sociale in collaborazione con lo Spazio Espositivo PALLAVICINI 22 Art Gallery econ l’Archivio Collezione Ghigi-Pagnani, si avvale del patrocinio dell’ Assemblea legislativa Regione Emilia-Romagna del Comune di Ravenna Assessorato alla Cultura, dell’Accademia di Belle Arti di Ravenna e dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico centro-settentrionale.

La mostra

Nell’opera dell’artista tecnicamente è celata più d’una sofisticazione pittorica, poiché Roberto Pagnani è pittore colto, coltivato da sedimenti antichi fatti propri sino a dimenticarsene: la più nota, l’astrazione informale del secondo dopoguerra.

L’acqua non si palesa negli ambienti marini di Pagnani. Si è spesso al di qua d’una duna che ne occulta la visione, la fuga, la vastità schiacciante quanto inutile per il discorso intimo che l’autore sta intrattenendo con sé stesso e con noi: si sa, si ha la sensazione certa che ci sia, dev’esserci lì a un passo. Ma non si vede.  Sono visioni le sue che partono da grumi di reale per rapirci in esse e farci fermare. Sospese fra certezza di aver già visto alcune cose e dubbio di non conoscerle affatto.

L’artista

Roberto Pagnani è nato a Bologna e vive a Ravenna, città in cui svolge la sua attività di artista.  Cresciuto in un contesto familiare dedito al mondo dell’arte da più generazioni, è stato a contatto diretto con opere dei maggiori protagonisti dell’ambiente culturale informale europeo. Espone in numerose manifestazioni e mostre sia in Italia che all’estero.

Tanti sono i critici e gli storici dell’arte che hanno scritto di lui tra i quali soprattutto Franco Bertoni, Beatrice Buscaroli, Luca Maggio, Michela Ongaretti, Aldo Savini, Serena Simoni e Claudio Spadoni.

Importanti sono anche le sue collaborazioni con il mondo del teatro e della musica quali, ad esempio, la realizzazione di scenografie o installazioni pittoriche per concerti.

Ha illustrato, inoltre, testi e pubblicazioni poetiche di Cetty Muscolino, Valerio Fabbri, Nevio Spadoni, Stefano Simoncelli ed Eugenio Vitali.

Opere sue sono presenti in numerose collezioni pubbliche e private, tra cui la Biblioteca F. Trisi di Lugo, la Sede dell’Autorità Portuale di Ravenna; l’Istituto di Cultura Italiana di Vilnius, la Sede dell’Assemblea Legislativa della Regione Emilia Romagna a Bologna, l’EEA (European Environment Agency) di Copenhagen, la Sede della Fondazione Cassa di Risparmio di Imola, il Museo della Marineria di Cesenatico.

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