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Archive for the ‘voci dall’umanesimo e rinascimento’ Category

Raffaello Sanzio, Leone X con i cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi, 1518, Galleria degli Uffizi, Firenze

Si riproduce qui la prima edizione a stampa (presso Giuseppe Comino in Padova, 1733) della ormai nota lettera redatta nel 1519 da Raffaello Sanzio e Baldassarre Castiglione e solo a quest’ultimo attribuita nella settecentesca bellissima edizione cominiana delle sue opere.

È un documento fondamentale di consapevolezza e tutela delle antichità in rovina, frutto maturo del Rinascimento di cui il grande urbinate fu la stella più luminosa, non a caso celebrato a cinquecento anni dalla morte da una sontuosa mostra presso le Scuderie del Quirinale. Imperdibile.

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Premessa: con le parole dell’amatissimo Aldo Manuzio (Bassiano, 1451? – Venezia, 1515) e a 510 anni dalla loro pubblicazione quale appendice alla traduzione in latino di Euripide da parte dell’altrettanto straordinario Erasmo da Rotterdam, saluto il 2017 al suo tramonto e il 2018 alle porte, augurando a ognuno di voi di trascorrere le festività esattamente come desidera. A presto, tanta Luce.

Dall’Appendice II dell’Euripide latino di Erasmo da Rotterdam (dicembre 1507)

Aldo saluta gli studiosi

Erasmo da Rotterdam, uomo dottissimo sia in greco che in latino, ha recentemente tradotto de tragedie di Euripide, l’Ecuba e l’Ifigenia in Tauride: le ha tradotte in versi, ma in modo del tutto fedele e in bello stile. Così, le ho fatte stampare dalla nostra tipografia, sia perché me lo ha chiesto quell’uomo dottissimo e mio intimo amico, sia perché ritenevo che sarebbero state a voi di grande utilità per comprendere e tradurre il greco. Di conseguenza, ne sono estremamente felice per voi. Mancavano un tempo i buoni libri, mancavano gli insegnante preparati: infatti, coloro che conoscevano bene entrambe le lingue erano una vera rarità. Ora invece, grazie a Dio, abbondano tanto i libri buoni quanto gli eruditi, sia in Italia che all’estero: al punto che Tule si sta adoperando per assumere un docente di retorica. Non mi pento perciò delle pesanti fatiche che vado affrontando ormai da molti anni per pubblicare buoni autori, per il bene vostro e per quello delle buone lettere: anzi, sono pieno di gioia (perché, infatti, dovrei nasconderlo?) e così dico di frequente a me stesso: “Forza, Aldo, persevera così!”. Se poi riuscirò, come spero, a produrre qualcosa di più rilevante, ne sarete certo felici voi, ma ancor più felici saranno i posteri. Quanto a me, toccherò il cielo con un dito. Statemi bene.

Da Aldo Manuzio. Lettere prefatorie a edizioni greche, Adelphi, Milano 2017.

 

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Sandro Botticelli, Michele Marullo Tarcaniota, 1497 circa, Museo del Prado, Madrid

A che giova esser fuggito tante volte dalle catene e dal destino che mi attendeva? …La libertà è solo una vuota parola, e forse mi avrebbe giovato di più rimanere nella mia patria, pur dovendo servire un crudele tiranno. Perché è di conforto poter vedere le tombe e i monumenti dei padri, le memorie delle loro conquiste: e respirare l’aria della patria, finché uno ha ancora respiro. Assai meglio che non essere oggetto di scherno, in terra straniera.

Michele Marullo Tarcaniota (Costantinopoli 1453 – Volterra/fiume Cecina 1500), Epigramma per la patria perduta

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Effigie di Lorenzo Valla (Roma, 1407-1457)

Effigie di Lorenzo Valla (Roma, 1407-1457)

Ho esposto queste cose affinché tu, Catone, comprenda che non avresti dovuto accusare come barbari e selvaggi i costumi dei contadini. Ed ecco la chiusa di quei versi: “Fra loro la giustizia segnò le sue ultime impronte, quando abbandonò la terra”[1]. Infine tu definisci l’onestà (honestas) il sommo o l’unico bene, per poi dividerla nelle quattro virtù e azioni delle virtù. Nessuna virtù, infatti, è una nozione, ma è un’azione che mette in pratica una cosa prima conosciuta, come attesta Cicerone: “Tutta la lode della virtù consiste nell’azione”[2].

Su questo concordano praticamente tutti gli autori. Né Aristotele, né Virgilio trattano di queste virtù, allorché essi affrontano, a modo loro, la questione della contemplazione. Capita così che il bene proprio della vita contemplativa non si riferisca all’onestà, ma al piacere, come abbiamo ricordato in precedenza a proposito delle professioni, delle scienze e delle discipline.

Lorenzo Valla (Roma, 1407-1457), da De vero falsoque bono, Bari 1970. Questo dialogo filosofico ebbe quattro redazioni da parte di Valla: 1431, 1433, 1445-48 e una quarta definitiva, ma non databile con precisione, contenuta nel manoscritto Ott. Lat. 2075 della Biblioteca Vaticana.

[1] Virgilio, Georgica, II, 473-474.

[2] Cicerone, De officiis, I, 6, 19.

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umanisti-italiani

Giovedì 23 febbraio è stato presentato presso la Biblioteca Classense di Ravenna un volume molto importante per gli studi attuali e futuri sull’argomento: “Umanisti italiani. Pensiero e destino” (Einaudi, 2016).

I due autori, Massimo Cacciari, che ha firmato il saggio di apertura, e Raphael Ebgi, che ha curato i testi, ovvero l’antologia in cui sono leggibili anche pagine sinora inedite, hanno spiegato come la visione corrente del Quattrocento, tutta grazia e armonia, sia radicalmente da ribaltare, poiché lo spirito che abitava gli intellettuali umanisti era di piena consapevolezza della crisi già in corso nel loro tempo e che esploderà con ferocia definitiva nel Cinquecento, tra guerre, invasioni, riforme e controriforme. Ma il senso di questa tragicità della storia umana è già propria del secolo umanista che nel pieno smarrimento dei due capisaldi medievali (l’impero in sostanza assente e il papato diviso durante lo Scisma d’Occidente addirittura fra tre contendenti, romano, pisano e francese) non a caso si apre col rogo del riformatore boemo Jan Hus, per chiudersi con l’altro rogo, stavolta fiorentino, del Savonarola, passando per il grande shock della caduta di Costantinopoli (1453), assediata dai turchi di Maometto II.

Agli umanisti non resta che tentare l’impossibile, la quadratura del cerchio, conciliare gli opposti, dalla filosofia platonica con l’aristotelica, alla classicità (non vissuta come erudizione vuota ma come modello) col cristianesimo, scartando però il dogmatismo della Scolastica medievale e preferendo alle regole l’esperienza francescana (sì, il semieretico Francesco torna ad essere il santo di riferimento), senza scordarsi della mistica ebraica, la cabala tanto cara agli studi di Pico della Mirandola, arrivando addirittura a proporre da parte del pontefice Pio II la conversione del sultano Maometto II (potenziale guida temporale e autorevole anche per l’Occidente?).

Insomma, la tensione che animava i dibattiti e le posizioni dei protagonisti di questa stagione straordinaria della storia occidentale (e come non citare le due colonne teoretiche massime del Quattrocento tutto, Nicola Cusano e Leon Battista Alberti) era evidente.

In finale di battuta, ho domandato a Cacciari se nonostante tale certezza della crisi, si possano considerare gli umanisti come intellettuali che hanno conservato fiducia nelle capacità dell’uomo, proprio a partire dal desiderio utopico di concordare posizioni altrimenti inconciliabili. Questa la risposta: “Certo, ma tenendo presente che la tensione intellettuale e spirituale è dovuta anche alla coscienza del rischio che l’uomo corre di divenire, proprio per sua natura, superiore all’angelo o peggiore delle bestie. Sulla nave dei folli di Bosch è imbarcata l’intera umanità.”

umanisti-italiani-ravenna

 

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