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Archive for febbraio 2017

mosaique-magazine-2017

 

A gennaio è uscito il nuovo bellissimo semestrale Mosaïque Magazine n.13 con l’intervista a Sara Vasini proposta in anteprima mesi fa su questo blog e riveduta e corretta in occasione di questa pubblicazione.

A proposito, non posso che ringraziare Renée Malaval, mente e cuore della rivista insieme al marito Gilles Antoine, per questa generosa opportunità data a una giovane ma capacissima artista.

E visti anche gli altri nomi presenti in questo numero, non perdetelo!

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Alessandra Rota, L8, 2014, cm80x100x45, legno frassino naturale e tinto marrone rossastro

Alessandra Rota, L8, 2014, cm80x100x4,5, legno frassino naturale e tinto marrone rossastro

Alessandra Rota (Bergamo, 1976): potresti descrivere il tuo percorso di formazione artistica e in particolare cosa ha fatto scattare la tua passione per il medium visivo? Ci sono stati maestri che ti hanno indirizzato verso questo interesse o è stata una tua scelta?

Mi sono diplomata prima al Liceo Artistico Statale Giacomo e Pio Manzù di Bergamo e poi in Decorazione  all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano.

Durante il mio percorso ho avuto la fortuna di incontrare docenti che mi hanno saputo stimolare sia visivamente che intellettualmente, oltre a essere umanamente ammirevoli. Il primo fra tutti è stato il professor Colombo di Ornato Disegnato nei primi due anni del Liceo. Realizzavamo principalmente tavole con matrici modulari, all’interno delle quali interagivano positivo/negativo, concavo/convesso, crescente/decrescente, bianco/nero, pattern/frattali, bidimensionalità/tridimensionalità. Mi rendo conto ora parlandone che dentro di me, in quegli anni, è stato piantato il seme della passione per il mosaico, inteso a modo mio.

All’Accademia ho avuto “un’overdose” di stimoli, la mia mente si è aperta e ho cominciato a essere me stessa. È ancora all’Accademia che Montefiore, il mio professore di Decorazione, mi ha permesso di sperimentare il mosaico. Dopo gli studi ho cominciato subito a lavorare nell’arredo, forse per distaccarmi dall’ambiente Accademico. È stato a questo punto che è germogliata la passione per il mosaico, il MIO mosaico in legno.

Alessandra Rota, L4, 2013, cm 100x100x3,7 legno frassino tinto grigio e bianco

Alessandra Rota, L4, 2013, cm100x100x4, legno frassino tinto grigio e bianco

Alessandra Rota, L2, 2002, cm 20x50x2 legno tanganica e palissandro

Alessandra Rota, L2, 2002, cm20x50x2, legno tanganica e palissandro

 

Alessandra Rota, L7, 2014, particolare, legno frassino tinto bianco e marrone pastello

Alessandra Rota, L7, 2014, particolare, legno frassino tinto bianco e marrone pastello

Usi il legno con tutte le implicazioni di sfumature e venature che ha questo materiale organico: a cosa è dovuta questa preferenza? In futuro pensi di servirti o hai già utilizzato anche altri elementi per le tue composizioni musive?

Il legno è vivo, cambia colore col passare del tempo e l’esposizione alla luce, si muove, può essere al naturale, tinto, laccato, usato, più o meno venato, giovane, vecchio, insomma non è mai uguale a se stesso. Cosa posso volere di più? Lavorando nell’arredo la scelta del legno è avvenuta fisiologicamente.

Ho provato  a misurarmi anche con marmi, paste vetrose, piastrelle, vetro. Col marmo, dal più duro al più tenero, vado d’accordo (guarda caso anche in questo materiale ci sono  le venature come nel legno ed è sempre preso a prestito dalla natura), ma a modo mio: solitamente recupero lastre di marmo scartate e comincio a prenderle a martellate per spaccarle, per poi passare a martellina e tagliolo. Le tessere che ottengo sono irregolari, anomale e il metodo diretto, il mio preferito.

Alessandra Rota, L6, 2014, particolare, legno tanganica e frassino tinto marrone scuro

Alessandra Rota, L6, 2014, particolare, legno tanganica e frassino tinto marrone scuro

Alessandra Rota, L5, 2013, cm 80x100x4,1 legno frassino tinto bianco e marrone pastello

Alessandra Rota, L5, 2013, cm80x100x4, legno frassino tinto bianco e marrone pastello

Alessandra Rota, M4, 2013, cm 60x60x2, marmi

Alessandra Rota, M4, 2013, cm60x60x2, marmi

Le tue opere sanno di cura negli accostamenti fra chiari e scuri, di simmetrie e giochi geometrici basati su forme quadrangolari, di rientranze  e sporgenze armoniche: parla della tua poetica.

Devo tornare ancora all’argomento legno per tentare di spiegarti un qualcosa che per me resta ancora un poco avvolto in un alone di mistero. Il legno è il materiale che prediligo al tatto e alla vista. Lo preferisco anche emotivamente e cerebralmente e in più riesco a dominarlo! Scelgo le mie tessere una a una per larghezza, altezza, profondità e tinta. La progettazione è sfiancante, a pari merito di quanto è distensiva l’esecuzione, coi suoi tempi lenti, alla faccia di questo mondo impazzito…  Creare un lavoro è un qualcosa di catartico: tentare di ordinare il disordine che c’è dentro di me. Nonostante ciò, le imperfezioni che si possono notare mi danno la consapevolezza che nulla può essere perfetto e tenuto completamente sotto controllo, però questo mi aiuta ad accettare limiti e imperfezioni dell’uomo, soprattutto mie. Oltretutto quando lavoro riescono a emergere le “due me”: positivo/negativo, concavo/convesso, crescente/decrescente, bianco/nero, pattern/frattali, bidimensionalità/tridimensionalità. Non sono e non sarò mai in grado di eguagliare i maestri mosaicisti utilizzando i loro attrezzi e i loro materiali, ma il legno è MIO, è come se me lo sentissi cucito addosso!

Alessandra Rota, L11, 2015, cm 64,2x81,3x3,9 frassino tinto lava e grigio

Alessandra Rota, L11, 2015, cm64x81x4, frassino tinto lava e grigio

Alessandra Rota, L9, 2015, particolare, legno frassino tinto bianco

Alessandra Rota, L9, 2015, particolare, legno frassino tinto bianco

Visto il design dei tuoi lavori, hai mai pensato di collaborare con studi d’architettura d’interni o oggetti d’arredo? Stai lavorando a progetti particolari o vorresti realizzarne in futuro?

Certo che ci ho pensato! La mia tipologia di mosaico oltre a poter essere applicata su rivestimenti d’interni, d’esterni, soffitti, lavori murali, si sposa benissimo soprattutto su elementi d’arredo quali testate letto, boiserie, ante, schienali, armadi, ecc., inserita su tutta la superficie o solo su una parte.

Resterò sempre aperta a tutte le opportunità che mi si presenteranno: mosaico, architettura, design, arredo e quant’altro, non voglio pormi limiti lavorativi. Mi piace essere poliedrica, mi aiuta a mantenermi viva e vigile!

Contatti: rota-alessandra@virgilio.it

Milano, ottobre 2016, evento NoLo Public Market in occasione della prima edizione della Fall Design Week

Milano, ottobre 2016, evento NoLo Public Market, in occasione della prima edizione della Fall Design Week

 

 

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gary-paladino

“Per prima cosa vi posso dire che abitavamo al sesto piano senza ascensore e che per Madame Rosa, con tutti quei chili che si portava addosso e con due gambe sole, questa era una vera e propria ragione di vita quotidiana, con tutte le preoccupazioni e gli affanni. Ce lo ricordava ogni volta che non si lamentava per qualcos’altro, perché era anche ebrea. Neanche la sua salute era un granché e vi posso dire fin d’ora che una donna come lei avrebbe meritato un ascensore.

Dovevo avere tre anni quando ho visto Madame Rosa per la prima volta. Prima non si ha memoria e si vive nell’ignoranza. La mia ignoranza è finita verso i tre o i quattro anni e certe volta ne sento la mancanza.” Romain Gary, La vita davanti a sé, 1975 (trad. ital. di G. Bogliolo, Vicenza 2016)

 

È raro incontrare libri così densi d’umanità, di pietà, capaci di commuovere e insieme far ridere come Chaplin e pochi altri dei sanno fare (e uso il presente poiché questo è il tempo perenne degli dei).

Intendiamoci, la vita non è cosa facile, anzi per la maggior parte degli esseri umani è dura, sporca, emana cattivi odori e può portare a pessimi pensieri che si traducono in altrettanto orribili azioni. Eppure.

Eppure Momò, l’incredibile protagonista di questa storia, bimbo di famiglia musulmana, figlio di una prostituta e di un padre magnaccia che l’ha assassinata anni prima ed è stato poi internato in manicomio, il nostro Momò, affidato come altri della sua stessa condizione, l’africano Banania o l’ebreo Moïse, a Madame Rosa, un’ex prostituta ebrea sopravissuta ai campi nazisti, grassa e brutta e impaurita dalla vita, dal tempo che passa, dai mali veri o presunti che alla fine la inchiodano al letto del sesto piano di una palazzina fatiscente di Belleville, periferia parigina, lo splendido Momò, che in prima persona racconta la sua infanzia e si affeziona a questa strana madre che a sua volta non vuole che lui la abbandoni e non solo per il timore di finire in solitudine in un ospedale, Momò insomma è uno di quei personaggi che una volta letti non ti lasciano più perché abitano stabilmente dentro di te e faranno di tutto per prendersi cura di te, proprio come con Madame Rosa, sino a organizzare per lei una danza propiziatoria con i vicini di casa africani quando la situazione si aggrava, sino a ignorare le raccomandazioni di uno degli altri bellissimi personaggi del libro, il dottor Katz, che vorrebbe ricoverarla d’urgenza. Ma Momò, saggiamente, rispetta la volontà della moribonda ed è esattamente ciò che si deve fare in casi analoghi: anteporre al nostro egoismo in buona fede i desideri del malato terminale. E avendo perso mia madre questa estate, so di cosa parlo. Così Momò la fa morire nello scantinato del palazzo e la veglia poi in lacrime per settimane.

Mi rendo conto di aver svelato buona parte della trama, certo arricchita anche da altre figure uniche come il prosseneta nigeriano Monsieur N’Da Amédée, ma il punto non è solo conoscere a grandi linee il racconto di Momò, ma sentire come egli lo narra, col suo stile da banlieue talvolta sgrammaticato ma vivissimo (anche questo rivela il genio di Romain Gary, che pubblicò il romanzo nel ’75 con lo pseudonimo di Émile Ajar, potendo così vincere il Premio Goncourt per la seconda volta), lezione di vita per tutti in questi tempi d’immigrazione senza cuore.

Ancora una volta sono i libri a indicarci la via, a ricordarci chi e come possiamo essere, anche grazie al tempo di riflessione che occorre per leggerli e che fortunatamente dobbiamo sottrarre alla fretta rumorosa e inquinante del quotidiano che sempre vorrebbe deviarci dall’incontro con noi stessi, dal gioire per la vita stessa. Questo rende umani, come Momò.

 

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pdb-salvini

Interno Poesia è lieta di annunciare l’avvio di un nuovo progetto di crowdfunding per la prevendita dell’opera Calma apparente di Anna Salvini (prefazione di Gianni Montieri). Scopo della campagna, organizzata in collaborazione con Produzioni dal Basso, è coinvolgere e rendere protagonisti lettori e scrittori in un processo partecipativo che prevede la prenotazione di una o più copie del libro in corso di edizione.

 

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Dalla prefazione di Gianni Montieri

Per scrivere poesia, ma per scrivere in generale, bisogna saper andare dentro le cose, sotto le cose, saper guardare il tappeto, il retro del tappeto e quello che c’è sotto il tappeto. Quello che ci abbiamo nascosto noi e quello che altri hanno lasciato. L’azione che mi viene in mente è quella di scavare la terra a mani nude, per sporcarsele, naturalmente, ma anche per portare in superficie. Anna Salvini con Calma apparente fa innanzitutto questo: scava. Salvini, però, ed è per questo che scrive poesie, restituisce al lettore l’idea di aver scavato, mostra la profondità dell’aver toccato la terra ma non ha bisogno di indicare dove, come e perché lo abbia fatto. Salvini lascia spazio alle nostre sensazioni: leggiamo lei e troviamo qualcosa di quello che è capitato a noi.

Calma apparente è il primo libro di Anna Salvini ma faccio fatica a considerarla un’opera prima, queste poesie vengono da molto lontano. E da molto lontano scrive Salvini, da Vigevano dove è nata e vive, e poi da un tempo molto lungo e distante che è quello da cui si formano i testi che compongono le tre sezioni della raccolta: “Visioni”, “Casa” e “Le sette meraviglie”…

 

La parola amore
Nella parola amore
ci sta tutto, ingloba per assonanza
e rima, ne fa un corpo unico, un unico
desiderio e tutto il pianeta passa da qui;
come pensare a un orlo mentre mi sei abito
all’asola quando apri ogni mio pensiero al giorno
come pensare a due quando tutto riporta ad uno:
i volti nella penombra della sera, confusi agli occhi
i nasi ad incastro, le bocche una sull’altra, le stesse
vocali, pensare d’essere, uno nell’altro, il gesto atteso
come mantenere l’equilibrio quando anche le domande
che chiudono ogni sera, non hanno mai la stessa risposta.

 

Miracoli

Ti lascio abitare ogni angolo
della casa, far parte
di un quadro, scegliere
il film

il vaso dei fiori però
riempilo
ogni volta che puoi

l’odore sugli abiti lo tengo
stretto, lo stomaco anche
quando siedi con me
sul divano

sono piccoli miracoli le isole
che fa la vita, questo adagiarsi
di polvere e sole
che veste gli spazi, impregna
ogni singola fibra
ma non ci contiene del tutto

e non dico di te
perché sei solo tu
soltanto
la radice
che lega le lingue
tu solo conosci il nome
di tutte le stanze, il ritrarsi
del lago quando fa notte

io faccio
come se niente fosse

come la pioggia
del mio starti accanto.

 

Pesci azzurri a dicembre

In una macchia di lentisco, sull’isola
richiama la mia essenza la geometria
dei voli, un vago moto, il mare

il mare dicevi
e quei pensieri solo nostri, lasciati
al soffio del maestrale per non dire
dell’impaccio, del fiore che mi ha punto.

È questo esistere tra i fuochi
che aiuta a riconoscersi
il mutare dell’osso a cartilagine
fragilità che nutre e convoca
le dita, i centesimi dei baci, il poco
che è – da sempre – riconciliazione.

Saranno pesci azzurri, quelli che ho sognato,
a ripulire la corteccia e l’abbandono
la medusa delle nostre lingue
a farsi ruga nel volto adunco
di dicembre.

 

Stato di grazia

È facile essere felici se tu mi fai
precipitare al centro della terra, nel nero
più nero del mondo, lì dove tutto
si disfa, strati su strati e fuoco, il fuoco
che alimenta i vulcani.

Ma poi che ne sappiamo, noi, dell’alta
densità del nucleo, se è fluido, gassoso
o cristallino, della nutazione, i meteoriti,
le onde sismiche e le alte maree, noi rocce fuse
prima che tutto indurisca nel freddo delle caverne

oggi, invisibili e nudi, magma che nasce
quando tutto il cielo si muove.

 

L’autrice

Anna Salvini è nata a Vigevano (PV) nel 1965. Suoi testi sono stati pubblicati su: Poetarum SilvaVersante RipidoCartesensibiliRebsteinPerìgeionMargutte e Interno PoesiaCalma apparente è la sua opera prima.

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zanarella

 

Interno Poesia: crowdfunding per Michela Zanarella

Interno Poesia è lieta di annunciare l’avvio di un nuovo progetto di crowdfunding per la prevendita dell’opera Le parole accanto di Michela Zanarella (prefazione di Dante Maffia).

Scopo della campagna, organizzata in collaborazione con Produzioni dal Basso, è coinvolgere e rendere protagonisti lettori e scrittori in un processo partecipativo che prevede la prenotazione di una o più copie del libro in corso di edizione.

PER SAPERNE DI PIÙ CLICCA QUI

Dalla prefazione di Dante Maffia

“Michela Zanarella è ormai scrittrice affermata e conosciuta, una che la poesia la scrive e la legge con attenzione e con passione e che sa coniugare la propria biografia con le accensioni che le vengono dagli altri, con atti di agnizione che sono la fermezza della sua lealtà innanzi tutto con se stessa e poi con il mondo.

Le parole accanto è un libro la cui scrittura è sapiente e pacata e riesce a cogliere sfumature essenziali capaci di illuminare aspetti reconditi della realtà e della psiche. Si avverte che l’esperienza personale, anche all’interno degli affetti più intimi, ha lasciato tracce indelebili che tornano a dettare ombre, eppure non troviamo il minimo di recriminazione, non troviamo anatemi. La poetessa ha assorbito tristezze e dolori e ne ha fatto parole di poesia con un semplicità che, come vado sostenendo da decenni, è il solo mezzo per riuscire ad ottenere della vera poesia, quella che rinnova la sostanza della realtà e perfino della verità…”.

 

Apro la pelle ai giorni

Apro la pelle ai giorni
e mi faccio coraggio
oggi per domani e domani ancora
fino ad innamorarmi della notte
e poi del giorno
come se fossi al primo inchino
alla vita.
Perché non posso spaventarmi
della prima ombra che appare
o della ferita che sanguina appena.
Allora cammino a piedi scalzi
tra le cose
inciampo cado mi rialzo
e consumo gli occhi ad esplorare il cielo
pur di non perdermi nemmeno un attimo
della luce che nasce
o del sole che si spegne nella sera.
Conservo anche l’odore delle macerie
ed il peso delle lacrime
sulle guance
senza smettere di amare
quel poco che basta
per dare un senso al fiore
o al ramo che si spezza.

 

Vengo a respirare
Vengo a respirare
dai tuoi confini lontani
e ci trovo tutto l’amore che non ho mai capito
io che ti ho sentito madre troppo tardi
terra impastata nella nebbia
fatta di cielo mai limpido e in lotta con il tempo.
Poso lo sguardo dove si ferma anche il vento
nella semina che sa di grano ormai maturo
e chiudo nel cuore quel colore
che ha l’odore del pane e delle stanze di casa.
Ti sento radice che indossa le mie vene
meta che ho lasciato troppo presto
sperando di trovare altrove
il senso del mio canto.
E intanto
vado con la mente dove il fiume si sveglia
in quel silenzio che cammina tra i campi
fino a sera.
E resto tra le distanze a cercare quel poco sole
sempre incerto
che mi ricorda che un giorno farò ritorno
tra i fili d’erba e le strade di polvere
dove sono stata bambina.

 

Dove la brenta
È l’odore di nebbia
che mi rassicura.
Sto nelle schiene verdi
della mia terra
dove la Brenta
ha rami limpidi
e voci silenziose.
Mi è cresciuto in vena
quel docile orizzonte
fragile di sole
e so dove hanno fermento
le nuvole.
Legata ai vezzi del cielo
lascio che il tempo smuova
le sorti della pianura.
Se ascolto la pelle
vedo lembi di fiume
e ad un palmo la mia origine.

 

Mi accompagna la notte 
a Pier Paolo Pasolini

Mi accompagna la notte
nei vicoli vuoti di periferia
ed è un andare ardente
di silenzi
come le tue barbare verità,
strette in un vivere
troppo umano.
Le parole escono sfrontate
dietro ombre abbandonate
agli sfoghi del tempo.
Non è che buio
quello che resta
come un vento che scotta
e spaventa.
Ed io che sono partecipe
di una tempesta ancora accesa
dico che non è giusto
quel dolore che ti hanno imposto
nella sera più cupa
cuore d’inverno
tramando il tuo inferno
all’idroscalo.

 

L’autrice

Michela Zanarella è nata a Cittadella (PD) nel 1980. Dal 2007 vive e lavora a Roma. Ha pubblicato le seguenti raccolte di poesia: Credo (2006), Risvegli (2008), Vita, infinito, paradisi (2009), Sensualità (2011), Meditazioni al femminile (2012), L’estetica dell’oltre (2013), Le identità del cielo (2013). In Romania è uscita in edizione bilingue la raccolta Imensele coincidente (2015). È inclusa nell’antologia Diramazioni urbane (2016), a cura di Anna Maria Curci. Autrice di libri di narrativa e testi per il teatro, è redattrice di Periodico italiano e Laici.it. Le sue poesie sono state tradotte in inglese, francese, arabo, spagnolo, rumeno, serbo, greco, portoghese, hindi e giapponese. Ha ottenuto il Creativity Prize al Premio Internazionale Naji Naaman’s 2016. È ambasciatrice per la cultura e rappresenta l’Italia in Libano per la Fondazione Naji Naaman. È alla direzione di Writers Capital International Foundation. Socio corrispondente dell’Accademia Cosentina, fondata nel 1511 da Aulo Giano Parrasio.

 

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