(…) Io invece credevo – e credo ancora – in una differente intenzionalità, che vorrei appunto proporre all’interno di questo corso: consiste nel guardare alla fotografia come a un modo di relazionarsi col mondo, nel quale il segno di chi fa fotografia, quindi la sua storia personale, il suo rapporto con l’esistente, è sì molto forte, ma deve orientarsi, attraverso un lavoro sottile, quasi alchemico, all’individuazione di un punto di equilibrio – il mio interno di fotografo-persona – e ciò che sta all’esterno, che vive al di fuori di noi, che continua a esistere senza di noi e continuerà a esistere anche quando avremo finito di fare fotografia. (…)
Credo che, con una serie di aggiustamenti successivi, arriveremo a porci di fronte a un determinato paesaggio-ambiente e a metterci qualcosa in più di quello che è il nostro vissuto, la nostra cultura, il nostro modo di vedere il mondo: arriveremo a dimenticarci un po’ di noi stessi. Dimenticare se stessi non significa affatto porsi come semplici riproduttori, ma relazionarsi col mondo in una maniera più elastica, non schematica, partendo senza regole fisse, piattaforme precise e preordinate.
(…) io ho sempre guardato all’immagine fotografica come a qualcosa che non si può definire, una specie di immagine impossibile. L’ho sempre vista come una strana sintesi tra la staticità della pittura e la velocità, che è qualcosa di interno alla fotografia, al suo processo di costruzione, cosa che l’avvicina al cinema. Perché io la fotografia la guardo dal punto di vista dell’immagine. (…) Credo che proprio in questo senso la fotografia sia un’immagine impossibile: un’immagine che da una parte ha la staticità della pittura, dall’altra il dinamismo del cinema (figlio della fotografia).
Nello stesso tempo la fotografia si esplica sempre all’interno di un dualismo perfetto. Se uno ci pensa, nella fotografia c’è il negativo e il positivo. È un rapporto tra luce e buio. È un giusto equilibrio tra quello che c’è da vedere e quello che non deve essere visto.
Quando noi fotografiamo, vediamo una parte del mondo e un’altra la cancelliamo.
Il rapporto giusto e corretto con la fotografia va probabilmente pensato nei termini di una dialettica perenne. C’è stato un filosofo (Massimo Cacciari, n.d.r.), del quale ho letto recentemente un’intervista, che ha dato la definizione forse più bella che abbia mai sentito della fotografia. Ha detto: “La fotografia non è un problema, la fotografia è un enigma, perché il problema ha una soluzione e l’enigma è un problema che non ha soluzione”. (…)
C’è un rapporto di singolare analogia con la realtà e, nello stesso tempo, un’evidente differenza dalla realtà. Non è un caso, credo, che il surrealismo, uno dei movimenti artistici che ha frequentato maggiormente la fotografia, appaia dopo la nascita della psicoanalisi e l’esplorazione dell’inconscio, ma anche dopo la nascita della fotografia. Io credo che nel XIX secolo la prima persona che ha avuto la possibilità di vedere il suo ritratto fotografico, l’immagine di sé praticamente identica (teoricamente) al reale, debba aver provato una sorta di shock emozionale e visivo. Come credo, del resto, accada tuttora a chiunque si veda per la prima volta ritratto in una fotografia. Anche perché nella fotografia, sostanzialmente, non ci vediamo come solitamente vediamo noi stessi, ma come ci vedono gli altri. Non siamo rovesciati come nello specchio, siamo dalla parte dritta: come tu vedi me e io vedo te. E quando ci vediamo per la prima volta è uno scarto enorme, perché appaiamo simili a noi, ma nel modo in cui ci vedono gli altri.
(…) il grande fascino della fotografia: relazionarsi col mondo in una maniera che molti definiscono ambigua, ma che io non vorrei definire ambigua, perché preferisco i termini enigmatico, misterioso. (…) È testimonianza di quello che ho visto ma è anche reinvenzione di quello che ho visto. Sostanzialmente la fotografia non fa altro che rappresentare le percezioni che una persona ha del mondo. (…) La fotografia rappresenta sempre meno un processo di tipo conoscitivo, nel senso tradizionale del termine, o affermativo, che offre delle risposte, ma rimane un linguaggio per porre delle domande sul mondo.
Luigi Ghirri (1943-1992), dalle Lezioni di Fotografia tenute a Reggio Emilia fra il 1989 e il 1990, ora pubblicate da Quodlibet Compagnia Extra, Macerata, 2010
Biennale del Paesaggio – Provincia di Reggio Emilia