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Archive for luglio 2010

Luigi Ghirri, Versailles, 1985

(…) Io invece credevo – e credo ancora – in una differente intenzionalità, che vorrei appunto proporre all’interno di questo corso: consiste nel guardare alla fotografia come a un modo di relazionarsi col mondo, nel quale il segno di chi fa fotografia, quindi la sua storia personale, il suo rapporto con l’esistente, è sì molto forte, ma deve orientarsi, attraverso un lavoro sottile, quasi alchemico, all’individuazione di un punto di equilibrio – il mio interno di fotografo-persona – e ciò che sta all’esterno, che vive al di fuori di noi, che continua a esistere senza di noi e continuerà a esistere anche quando avremo finito di fare fotografia. (…)

Credo che, con una serie di aggiustamenti successivi, arriveremo a porci di fronte a un determinato paesaggio-ambiente e a metterci qualcosa in più di quello che è il nostro vissuto, la nostra cultura, il nostro modo di vedere il  mondo: arriveremo a dimenticarci un po’ di noi stessi. Dimenticare se stessi non significa affatto porsi come semplici riproduttori, ma relazionarsi col mondo in una maniera più elastica, non schematica, partendo senza regole fisse, piattaforme precise e preordinate.

Luigi Ghirri, Studio Morandi a Grizzana, 1989

(…) io ho sempre guardato all’immagine fotografica come a qualcosa che non si può definire, una specie di immagine impossibile. L’ho sempre vista come una strana sintesi tra la staticità della pittura e la velocità, che è qualcosa di interno alla fotografia, al suo processo di costruzione, cosa che l’avvicina al cinema. Perché io la fotografia la guardo dal punto di vista dell’immagine. (…) Credo che proprio in questo senso la fotografia sia un’immagine impossibile: un’immagine che da una parte ha la staticità della pittura, dall’altra il dinamismo del cinema (figlio della fotografia).

Nello stesso tempo la fotografia si esplica sempre all’interno di un dualismo perfetto. Se uno ci pensa, nella fotografia c’è il negativo e il positivo. È un rapporto tra luce e buio. È un giusto equilibrio tra quello che c’è da vedere e quello che non deve essere visto.

Quando noi fotografiamo, vediamo una parte del mondo e un’altra la cancelliamo.

Il rapporto giusto e corretto con la fotografia va probabilmente pensato nei termini di una dialettica perenne. C’è stato un filosofo (Massimo Cacciari, n.d.r.), del quale ho letto recentemente un’intervista, che ha dato la definizione forse più bella che abbia mai sentito della fotografia. Ha detto: “La fotografia non è un problema, la fotografia è un enigma, perché il problema ha una soluzione e l’enigma è un problema che non ha soluzione”. (…)

Luigi Ghirri, Brest, 1972

C’è un rapporto di singolare analogia con la realtà e, nello stesso tempo, un’evidente differenza dalla realtà. Non è un caso, credo, che il surrealismo, uno dei movimenti artistici che ha frequentato maggiormente la fotografia, appaia dopo la nascita della psicoanalisi e l’esplorazione dell’inconscio, ma anche dopo la nascita della fotografia. Io credo che nel XIX secolo la prima persona che ha avuto la possibilità di vedere il suo ritratto fotografico, l’immagine di sé praticamente identica (teoricamente) al reale, debba aver provato una sorta di shock emozionale e visivo. Come credo, del resto, accada tuttora a chiunque si veda per la prima volta ritratto in una fotografia. Anche perché nella fotografia, sostanzialmente, non ci vediamo come solitamente vediamo noi stessi, ma come ci vedono gli altri. Non siamo rovesciati come nello specchio, siamo dalla parte dritta: come tu vedi me e io vedo te. E quando ci vediamo per la prima volta è uno scarto enorme, perché appaiamo simili a noi, ma nel modo in cui ci vedono gli altri.

(…) il grande fascino della fotografia: relazionarsi col mondo in una maniera che molti definiscono ambigua, ma che io non vorrei definire ambigua, perché preferisco i termini enigmatico, misterioso. (…) È testimonianza di quello che ho visto ma è anche reinvenzione di quello che ho visto. Sostanzialmente la fotografia non fa altro che rappresentare le percezioni che una persona ha del mondo. (…) La fotografia rappresenta sempre meno un processo di tipo conoscitivo, nel senso tradizionale del termine, o affermativo, che offre delle risposte, ma rimane un linguaggio per porre delle domande sul mondo.

Luigi Ghirri (1943-1992), dalle Lezioni di Fotografia tenute a Reggio Emilia  fra il 1989 e il 1990, ora pubblicate da Quodlibet Compagnia Extra, Macerata, 2010

Biennale del Paesaggio – Provincia di Reggio Emilia

Fotografia Europea.it

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Marco Bravura, Onde, 2010, Trieste

Quest’anno il Ravenna Festival si è concluso la sera dello scorso 13 luglio a Trieste, in Piazza Unità d’Italia, con un bellissimo concerto diretto da Riccardo Muti alla presenza dei presidenti di tre repubbliche, italiana, croata, slovena, per unire simbolicamente nel segno della bellezza e della pace i popoli che macchiarono di sangue quelle terre.

Marco Bravura, Ardea purpurea, 1999, Beirut

A ricordo di questo evento è stata commissionata una scultura musiva, Onde, al ravennate Marco Bravura (Ravenna, 1949), già autore dell’Ardea Purpurea posta nel ’99 a Beirut, altra terra massacrata dalla guerra, sempre in occasione di un altro Ravenna Festival.

Le tre Onde della nuova opera, significativamente realizzata con pietra carsica, dunque la materia dei luoghi coinvolti, rappresentano l’unione delle tre nazioni per un passato che non si ripeta più e in vista di un futuro, che è già presente, di collaborazione e speranza.

Quest’opera, che dovrebbe trovare collocazione nel prestigioso Palazzo Tergesteo del capoluogo friulano, è accompagnata da un paio di versi di Pablo Neruda: “Perché l’amore, mentre la vita ci incalza,/ è solo un’onda più alta tra le onde.

E così la descrive l’autore: “Tre strutture unite alla base costituiscono la scultura Onde, suggerendo il movimento di tre onde quale espressione del mare che bagna le tre nazioni di Italia, Croazia e Slovenia. Tre onde di uno stesso mare che idealmente le unisce.  In senso più ampio, le onde sono simbolo di moto eterno e, con la musicalità del loro rifrangersi, parlano di energia e di bellezza giocosa.

Il materiale predominante di questa scultura non poteva che essere pietra carsica, la materia che pervade il territorio, le cui microforme di superficie formano scannellature, campi carreggiati, docce, conformazioni che talvolta ricordano moti ondosi o gli interstizi propri del linguaggio musivo. Territorio carsico vuol dire anche foibe, voragini naturali, triste memoria di una pagina dolorosa della storia dell’uomo. Su questa pietra carsica sono intervenuto con tagliolo e martellina, per renderla increspata come onda, perché tessera inseguisse tessera, a formare andamenti curvilinei con rinata tensione verso l’alto. Per poi farli ricadere, nel moto sinusoidale, in una spuma bianca, argentea, luminosa e trasparente. E così, per mezzo del mosaico, la pietra aspira a farsi liquida energia.” (Marco Bravura)

Marco Bravura – sito ufficiale

Ravenna Festival – sito ufficiale

Palazzo Tergesteo – Trieste

Solo-Mosaico – official website

Marco Bravura, Onde, 2010, Trieste

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Milan Kundera

Guardava i muri sporchi del cortile e si rendeva conto di non sapere se fosse isteria o amore.

E gli dispiaceva che in una situazione simile, quando un vero uomo avrebbe saputo immediatamente come agire, lui esitava privando in tal modo l’istante più bello della sua vita (era in ginocchio al capezzale di lei e gli sembrava di non poter sopravvivere alla sua morte) del suo significato.

Se la prese con se stesso, ma alla fine si disse che in realtà era del tutto naturale non sapere quel che voleva.

Non si può mai sapere che cosa si deve volere perché si vive una vita soltanto e non si può né confrontarla con le proprie vite precedenti, né correggerla nelle vite future.

È meglio stare con Tereza o rimanere solo?

Non esiste alcun modo di stabilire quale decisione sia la migliore, perché non esiste alcun termine di paragone. L’uomo vive ogni cosa subito per la prima volta, senza preparazioni. Come un attore che entra in scena senza aver mai provato. Ma che valore può avere la vita se la prima prova è già la vita stessa? Per questo la vita somiglia sempre a uno schizzo. Ma nemmeno “schizzo” è la parola giusta, perché uno schizzo è sempre un abbozzo di qualcosa, la preparazione di un quadro, mentre lo schizzo che è la nostra vita è uno schizzo di nulla, un abbozzo senza quadro.

“Einmal ist keinmal”. Tomáš ripete tra sé il proverbio tedesco. Quello che avviene soltanto una volta è come se non fosse mai avvenuto. Se l’uomo può vivere una sola vita, è come se non vivesse affatto.

(Milan Kundera, da L’insostenibile leggerezza dell’essere, Adelphi, Milano, 1985)

Milan Kundera – sito non ufficiale

Milan Kundera – fan site

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Keith Jarrett

“C’è qualcosa che voglio dire fin dall’inizio, perché credo sia il punto centrale della questione. Io non mi sento esattamente un musicista. Quando mi ascolto suonare, ci sono dei momenti in cui realizzo che non si tratta solo di musica. (…)

Gurdjieff ha detto: “Voi non siete svegli, siete addormentati”. Lo siamo tutti, senza eccezioni. Noi non possiamo dire: “Io sono sveglio. Lui dorme ma io sono sveglio”. Noi tutti dormiamo. Innanzitutto dobbiamo rendercene conto e poi dobbiamo capire cosa significa essere svegli. Se ti svegli anche per un solo minuto, non potrai più dimenticarlo. Mai. Saprai sempre se stai solo fingendo di essere sveglio o se stai sognando. E questo è la musica per me: essere sveglio e avere la capacità di percepire… percezione e consapevolezza.”

Con queste parole di Keith Jarrett (Allentown, Pennsylavania, 1945) si apre Il mio desiderio feroce (Edizioni Socrates, Roma, 1994), testo fondamentale per capire la poetica di questo genio autentico del piano e della musica contemporanea. Già, quale musica? Classica, jazz? Fusion, smooth jazz? Le sue improvvisazioni, da solo o nell’ormai storico Standards Trio con Gary Peacock e Jack DeJohnette, non sono classificabili: è semplicemente musica. È stato un cosiddetto bambino prodigio, passato poi nella formazione di Miles Davis e arrivato a registrare album di classica (Shostakovich, Mozart e Bach soprattutto, quasi nutrendo un’ossessione per Glenn Gould), oltre a produrre composizioni di bellezza senza pari come The Köln Concert (1975), Spirits (1986) o il recente Testament, coi concerti di Londra e Parigi del 2008, e rivisitazioni altrettanto stupende (The melody at night, with you, 1999), tutte pubblicate dalla prestigiosa EMC Records.

Keith Jarrett

Indimenticabile, per chi lo abbia visto live, il suo rapporto col piano, fisicissimo, il suo rannicchiarsi per poi alzarsi, quasi danzare e cantare le note che dalla testa passano alle dita, chiarendosi al mondo: proprio per non perdere una concentrazione altissima, che gli fa creare al momento il flusso musicale apparso, si è talvolta dovuto scontrare col pubblico più chiassoso e irrispettoso, al contrario apprezzando, anzi avendo necessità di platee silenziose, che respirano all’unisono con lui, permettendogli di emozionarsi e perdersi sulla tastiera, sentendo la loro e la sua musica.

“Suonare è un atto estremo. Voglio trascendere le possibilità fisiche del mio piano, voglio che suoni come una voce umana, come una chitarra, come un uccellino. Per questo amo tanto la musica del vostro Ferruccio Busoni e soprattutto il secondo concerto per pianoforte di Béla Bartók: perché chiedono al piano più di quanto possa fisicamente dare, quando finisci sei sudato come una bestia. Tento sempre di andare oltre. Le note mi arrivano come un vapore sottile, come vapore acqueo. E io cerco di coglierne la forma prima che svaniscano nell’aria.” (Keith Jarrett, dall’intervista al Corriere della Sera del 7 maggio 2009, pg.55, prima del concerto al San Carlo di Napoli).

Keith Jarrett.it – sito non ufficiale italiano

Keith Jarrett.org – an unofficial web site

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Luca Mandorlini, 2009

“Non ho tempo, sono indietro con altri articoli”, gli dico io, “Basta che dai un’occhiata a questi nuovi lavori e vedrai”, dice lui.

Lui è Luca Mandorlini (Ravenna, 1977), biblioippodisegnatore dall’energia inesauribile, come il ritmo che sprizza dai suoi pezzi.

Mi invia le immagini, apro. Quel rosso sulla moretta sembra Gruau. E l’altra con la maglietta a righe blu? Fellini, con sole su seni giarrettiere e gambaletti, donne felliniane appunto, sebbene magre, su spiagge che potrebbero essere Rimini, Marina di Ravenna o luoghi ricreati nella mente del loro autore.

C’è qualcosa di fumettistico in questi lavori e come sempre di elegante nelle linee di Mandorlini. E qualcosa che mi ricorda i vecchi maestri calligrafisti: prima di tracciare con rapidità i loro segni, pensavano e ripensavano per non farsi battere nella sfida col nulla bianco del supporto.

Luca Mandorlini, 2009

Ho visto più volte Mandorlini riflettere a lungo prima di eseguire veloce, perché poi indietro non si torna: “A quei fiori ho pensato due giorni.” È lì che accade il quadro, nella mente: non lo diresti subito di uno istintivo come lui. “Alle aringhe devo ancora pensarci, sono strani i pesci.” Ha ragione, possono scivolare via da mani mente e pennelli.

Meditare e poi agire, senza pentimenti, per questo neocalligrafista figurativo: e a riguardare quelle sue donne, così fresche e senza volto, come l’avventura, viene proprio voglia d’estate e di fare l’amore.

Luca Mandorlini – sito e contatti

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