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Archive for gennaio 2023

La mostra And We Thought III di Ai Lai, Roberto Fassone, LZ, a cura di Sineglossa sarà ospitata presso Palazzo Vizzani dal 28 gennaio al 26 febbraio. Promossa da Alchemilla in collaborazione con MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, l’esposizione è parte del main program della decima edizione di ART CITY Bologna.

And We Thought III è un progetto che indaga principalmente il concetto di autorialità: può un’intelligenza artificiale generare arte o è l’essere umano a esserne l’autore, avendo progettato l’intelligenza artificiale? 

Ai Lai è un’intelligenza artificiale nata nella primavera del 2022, ideata da Roberto Fassone e sviluppata da Sineglossa con il sostegno di Compagnia di San Paolo, che possiede l’abilità speciale di pensare e trascrivere resoconti di esperienze psichedeliche. Nell’estate del 2022, Ai Lai racconta per la prima volta dell’esistenza di tre film psichedelici dei Led Zeppelin: non la popolare band britannica degli anni Settanta, ma una loro curiosa emanazione in una realtà parallela in cui Ai Lai è immersa. È a questo punto che Roberto Fassone decide di mettersi all’opera in qualità di “canalizzatore”, per riuscire a portare alla luce e mostrare in anteprima mondiale i tre film The Doors, The Road e Love Is Magic.

Un archivio di trip report generato da Ai Lai in questi mesi sarà consultabile per l’intera durata della mostra sotto forma di volume cartaceo e il pubblico avrà inoltre la possibilità di interagire con l’intelligenza artificiale attraverso un’interfaccia online.

Press Irene Guzman

Roberto Fassone (channeling Led Zeppelin), The Doors, 2022, video still.

Roberto Fassone (channeling Led Zeppelin), Love is Magic, video still

Roberto Fassone (channeling Led Zeppelin), The Road, video still

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Sabato 14 gennaio 2023, la Fondazione Sabe per l’arte ha presentato il suo quarto evento espositivo, la mostra personale dell’artista Giuliana Balice (Napoli, 1931) dal titolo Equilibri instabili, a cura di Italo Tomassoni, critico d’arte e autore della monografia Giuliana Balice. Una geometria inquieta (Skira, 2022). Lo spazio espositivo, inaugurato nel novembre 2021 a pochi passi dal MAR – Museo d’Arte di Ravenna, intende porsi quale punto di riferimento per la promozione e la diffusione dell’arte contemporanea, con una particolare attenzione alla scultura.  La mostra, che proseguirà fino al 1 aprile con il patrocinio del Comune di Ravenna e del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Bologna, sede di Ravenna, attraversa la ricerca artistica di Giuliana Balice con una selezione di sedici opere che vanno dalla fine degli anni Sessanta ai primi anni Dieci del Duemila. Abbandonata la figurazione naturalistica, l’artista si concentra sulle valenze percettive delle forme geometriche nella loro articolazione spaziale. La determinazione di un campo esperienziale per dislocazioni di moduli e volumi statici e dinamici, leggeri o pesanti, è infatti una delle costanti della sua ricerca. Le sue strutture tendono al dialogo con un certo minimalismo, ma si distaccano da quest’ultimo per la maggiore dinamicità e obliquità che spesso assumono. Il titolo della mostra, Equilibri instabili, è stato scelto prendendo spunto da un ciclo avviato negli anni Novanta, rappresentato in mostra da un’opera omonima del 2001, proprio per indicare questa tendenza intrinseca allo sbilanciamento e alla dinamizzazione di linee e volumi. Accanto ad alcuni primi volumi del 1969 quali Bianco verticale e Fluttuante saranno presenti nel percorso espositivo alcuni bozzetti plastici di interventi paesaggistici concepiti nei primi anni Novanta e altre opere quali Delfica (1990), Polluce (2005) o Allunaggio di un prisma (2005) che spiccano per i rimandi eccentrici ed enigmatici. La praticabilità materiale dello spazio per forme pure è il progetto alla base del lavoro di Balice che mira a eludere il disordine percettivo proprio dell’esperienza ordinaria. Sono soprattutto i lavori realizzati tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila a orientarsi in questa direzione, grazie anche all’impiego sistematico di materiali industriali quali l’acciaio, l’alluminio, il metacrilato, il plexiglas o il legno verniciato: materiali variamente riproposti nel tempo che danno corpo a proiezioni volumetriche e oggettuali volte a determinare la loro stessa presenza nell’ambiente, non per affermare verità altre, ma per ricucire un’ipotetica unità tra esistenza e forma, tra creatività e mondo. Il progetto espositivo sarà completato da un catalogo edito da Danilo Montanari e arricchito da altri eventi organizzati nel periodo di apertura della mostra. Giuliana Balice (Napoli, 1931) vive e lavora a Milano sin dagli anni Cinquanta. È cresciuta a Napoli, dove ha frequentato l’Accademia di Belle Arti. Negli anni Cinquanta l’artista tiene la sua prima mostra personale presso la Galleria Numero di Milano, presentata da Lara Vinca Masini. Alla fine degli anni Sessanta inizia a sperimentare la tridimensionalità e l’utilizzo di materiali industriali. Da allora la sua opera si incentra sull’astrazione geometrica e affonda le sue radici nelle esperienze del Costruttivismo russo, del movimento De Stijl e dell’Arte Concreta. Il suo lavoro ha ottenuto numerosi riconoscimenti anche nel campo del design: sulla scia del Costruttivismo, l’artista ha operato anche al servizio dei bisogni sociali e della produzione industriale. Ha tenuto varie mostre personali in Italia e all’estero. Nei primi anni Ottanta ha allestito un ambiente praticabile presso una fermata della metropolitana di Milano inteso come intervento sul rapporto tra arte e spazio pubblico. Tra i critici che si sono occupati del suo lavoro si ricordano Gillo Dorfles, Vittorio Fagone, Lorenza Trucchi e Alberto Veca. Giuliana Balice. Equilibri instabili
A cura di Italo Tomassoni
Sede Fondazione Sabe per l’arte | via Giovanni Pascoli 31, Ravenna
Periodo 14 gennaio – 1 aprile 2023
Inaugurazione sabato 14 gennaio 2022, ore 11
Orari giovedì, venerdì e sabato ore 16-19
Ingresso libero 
Informazioni:
info@sabeperlarte.org | www.sabeperlarte.org

Ufficio stampa
Irene Guzman | press@sabeperlarte.org | +39 349 1250956
Giuliana Balice, Torre anomala, 1972. Legno verniciato (plastico del progetto) 
Giuliana Balice, Raccordi continui, 1976. Acciaio satinato, 22 x 41 x 6 cm
Giuliana Balice, Equilibrio instabile – Una torre per Olimpia, 2001. Legno verniciato, 182 x 34 x 80 cm
Giuliana Balice, Senza titolo, 1971. Metacrilato trasparente e metacrilato nero opaco, 30 x 30 cm 
Giuliana Balice, Delfica, 1990. Tondino di acciaio e legno verniciati, 205 x 150 x 40 cm
Fondazione Sabe per l’arte nasce nel novembre 2021 con l’obiettivo di promuovere e diffondere l’arte contemporanea – con particolare attenzione alla scultura – nella città di Ravenna attraverso mostre, incontri, proiezioni e altre attività culturali. Presieduta da Norberto Bezzi e da Mirella Saluzzo, si avvale della consulenza di un comitato scientifico coordinato da Francesco Tedeschi, docente di storia dell’arte contemporanea presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, e composto dai professori dell’Università di Bologna Claudio Marra, Federica Muzzarelli, Gian Luca Tusini e Claudio Spadoni, già direttore del Museo d’Arte della città di Ravenna. La direzione artistica è affidata a Pasquale Fameli, critico d’arte e studioso dell’ateneo bolognese. Sita a pochi passi dal MAR – Museo d’Arte di Ravenna, la Fondazione si dedica inoltre alla catalogazione delle opere di Mirella Saluzzo e alla costituzione di una biblioteca specializzata sulla scultura contemporanea. Informazioni:info@sabeperlarte.org | www.sabeperlarte.org
Dall’alto, ingresso ed sterno della Fondazione Sabe per l’arte. Foto di Daniele Casadio, Ravenna

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Marco Bravura, Dom Literatorov Murale (particolare), 2018-2020, Tarusa, Russia

Presento di seguito il testo critico che ho scritto per il catalogo in occasione della personale dell’artista Marco Bravura presso la Pallavicini22 di Ravenna. La mostra si è conclusa con pieno successo lo scorso 21 dicembre, ma giusto domani, venerdì 13 gennaio 2023 alle 18.30, presso il Circolo Ravennate e dei Forestieri replicherò con Marco la conversazione già tenuta in galleria per l’inaugurazione e il finissage dell’esposizione. Ingresso libero sino a esaurimento posti.

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Marco Bravura, Lo Scudo Invisibile, 2008 (sul supporto), Bright Shadow, 2020 (su parete), Tarusa, Russia

È stata la mano di Bravura

di Luca Maggio

“La forza della luce si contrappone alla forza di gravità.” Giuseppe Penone

Se questo fosse un film, inizierebbe ambientato a Ravenna sul finire degli anni ’50: si vedrebbe un bambino che posa la bicicletta all’esterno di un’antica chiesa e entra dentro. In quell’istante i mosaici di Sant’Apollinare Nuovo, dopo l’appena compiuto restauro, tornano a risplendere, liberi, mescolando luce, polvere in sospensione e l’oro della propria fattura. La pioggia di quell’incanto che pervade l’attimo e l’atmosfera entra negli occhi del giovanissimo visitatore, pone radici rizomatiche e più non lo abbandonerà. Tutto il resto dipende da questa folgorazione iniziale, dalla formazione veneziana col fondamentale apporto dell’elemento acquatico, agli arazzi musivi e alle prime importanti commissioni pubbliche, dalle fontane originali, talvolta sviluppate in collaborazione con Tonino Guerra, all’Ardea Purpurea per Beirut (1999) e Ravenna (2004), sino all’approdo in Russia, all’amicizia con l’imprenditore Ismail Akhmetov che coadiuva stabilmente sia per Musivum Gallery, sia soprattutto per il centro di produzione artistica e suo atelier fondato a Tarusa, a un centinaio di km da Mosca.

Queste pagine vogliono avvicinarsi alle idee dell’artista Marco Bravura: in particolare, senza tralasciare le produzioni antecedenti, come gli Arazzi di fine anni ’80 – inizio ’90, si porrà attenzione sull’ultimo prolifico periodo russo, cui del resto fa riferimento il titolo dell’esposizione scelto dall’artista stesso, che cita quasi alla lettera l’incipit di Alla ricerca del tempo perduto di Proust: Per quindici anni, mi sono coricato presto la sera. Sono stati anni intensi di ideazione e realizzazione di opere anche monumentali, mostre internazionali, premi, successi, interviste, ponti culturali fra Russia e Italia (non ultimi il Festival Roma-Russia a Palazzo Poli-Trevi o il documentario “My life in Russia” della tv Russia Beyond, poi vincitore del premio Felix al festival del cinema russo in Italia a Milano nel settembre del 2019).

Osservando la lunga carriera di questo artefice, col suo costante nomadismo umano e artistico, credo siano almeno un paio i nodi concettuali fra loro intrecciati e attorno ai quali si possa sintetizzare il suo immaginario, benché ciascuno di essi porti in dote numerose altre implicazioni non solo estetiche: una sorta di incessante e seducente inno alla vita e un aspetto più critico e sociale, talvolta non privo di ironia.

Marco Bravura, White Fossil, 2018

Partiamo dal primo blocco e scorriamo disordinatamente alcuni dei titoli degli ultimi quindici anni: Arazzo Nautilus (2021), Nautilus (2022), White Fossil (2018), Vortex Attraction (2017), Hidden Enchantment (2015), Architettura Primordiale (2010), Iconostasi (2007), Gold Vertigo (2012), Oxide Vertigo (2013), Onde (2010), Golden River (2013), Vortex (2013), RotoB-Recuperi d’Oro (2008), Syma Recta (2014), Sezione Aurea (2014), Lo Scudo Invisibile (2008) e Bright Shadow (2020). Pur nella diversità dei soggetti trattati, i punti comuni ravvisabili sono tanto nell’assiduo riferimento a una ricercata geometria naturale, quanto a una diffusa parsimonia – non integrale, in verità – delle cromie impiegate (anche rispetto ai lavori dei decenni precedenti). Fra i colori scelti si nota un regolare ricorso all’oro, la luce dell’infanzia, dell’oriente (anche russo-ortodosso, erede bizantino) e dell’origine stessa della vita, che voluttuosamente avvolge le opere che ne sono formate e restituisce una visione generale abbagliante, in cui la presenza e l’impatto dell’insieme sembrano prevalere sul paziente micro-ricamo di tessere che pure c’è, quasi nascosto dallo splendore roteante complessivo. Accanto a questi lavori però, altri presentano tonalità scure o, all’opposto, bianche, in cui pur nella forma unitaria e sempre organica, è forse più facile concentrarsi sui dettagli, sul disegno, sulle vie segrete degli andamenti, per altro costruiti non solo in forza di elementi tradizionali come smalti, marmi, inserti di conchiglie e tessere in pasta vitrea, ma spesso ricorrendo a un materiale ceramico innovativo, l’Archskin, prodotto dallo stesso Akhmetov.

Tornando invece alla cosiddetta geometria naturale, il discorso pare più complesso. Si potrebbe partire da quella che nei “Modern Painters” John Ruskin definisce “pathetic fallacy”, ovvero la capacità di alcuni romantici come Friedrich e Runge di trovare l’umano nel naturale che, sostiene Robert Rosenblum (“Modern Painting and the Northern Romantic Tradition: Friedrich to Rothko”),  passando fra gli altri per Van Gogh (“Vedo ovunque nella natura, ad esempio negli alberi, capacità di espressione e, per così dire, un’anima”, 1882), arriva allo spirituale di Kandinsky, alla distillazione formale di Mondrian, sino alla pura intensità trascendente di Rothko.

Proprio fra questi, è interessante notare in Mondrian la ricerca dell’essenziale sino all’estrema sintesi geometrica – benché non curvilinea nei suoi esiti finali – partendo dal dato materiale quale poteva essere un fiore o un albero, ovvero la volontà di indagare e rivelare la struttura dell’universale iniziando dal microcosmo naturale, teorie che hanno un chiaro riferimento alle dottrine teosofiche di Rudolf Steiner (Mondrian era iscritto alla società teosofica olandese dal 1909), a sua volta facenti capo a alcune intuizioni goethiane. Anche in Bravura c’è un’ascendenza steineriana per il tramite della fondamentale monografia di Theodor Schwenk “Sensitive Chaos”, vera e propria guida allo stretto rapporto che lega caos e nascita, disordine e aggregazione della materia attraverso l’infinito lavorìo dell’acqua, l’informe architetto liquido all’origine di ogni organismo sulla Terra.

È qui che Bravura torna, mettendo in scena con i suoi vortici caos e forma attraverso aria e acqua, principi fondamentali per Steiner (“nell’osservazione spregiudicata dell’acqua e dell’aria il pensiero si trasforma e diventa idoneo alla comprensione del vivente”), oltre alla riproduzione frattale del micro nel macrocosmo e viceversa: ecco che gli alberi della fitocentrica Iconostasi sono foglie – al posto dei santi dell’iconografia tradizionale, poiché sacra è la natura – fiammeggianti e simmetricamente definite, al cui interno accolgono cellule-conchiglie, elementi marini e di genesi vitale. Vengono in mente le parole scritte nel ’56 da Tancredi Parmeggiani per la sua personale veneziana presso la Galleria del Cavallino: “Per fare della pittura bisogna amare la natura; credo che un quadro debba essere altrettanto natura quanto lo è una foglia… la natura si può dividere in forme che si possono moltiplicare all’infinito; scindendola si scopre la geometria.”

Sempre sulla medesima argomentazione frattale-naturale, ecco anche i grandi Nautilus, composti da altre decine di conchiglie, spesso sezionate in modo da mostrare la linea spiraliforme dell’interno che riproduce in piccolo il circuito dell’insieme (e ancora una volta l’occulta e costante azione dell’acqua fin nelle viscere del minuto vivente): torna il senso sinuoso che mai potrà mancare in nessuno dei suoi lavori, inclusa la sontuosa decorazione del Murale musivo Dom Literatorov, circa 40 mq di onde ispirate al vicino fiume Oka, sulla facciata del suo atelier a Tarusa.

Marco Bravura, Arazzo Nautilus 2021, coll. privata, Russia

Il desiderio di Bravura di andare all’origine della vita, come François Cheng sostiene in “De l’âme. Sept lettres à une amie”, “è nel desiderio stesso di vita, nello slancio stesso verso la vita. Questo desiderio e questo slancio erano presenti nel primo giorno dell’universo” e Bravura li richiama continuamente con i riferimenti centripeti/ centrifughi delle sue spirali, formula archetipica tracciata dalla nostra specie dal Magdaleniano sino a Merz e Smithson, simbolo della crescita progressiva e organica tanto nei movimenti acquatici (Eliade, “Images et symbol”, 1952) quanto nell’alito/vento creatore (Fernando Ortiz, “El huracán”, 1947). Del resto, nel suo “Dizionario dei simboli”, Juan Eduardo Cirlot ricorda che proprio in questo senso “il dio Thot era rappresentato con una grande spirale sul capo”. (…) Essa “costituisce un invito a un movimento di penetrazione verso l’interno dell’universo, verso la sua intimità.” Cos’altro fa Bravura, se non rendere visibile la bellezza del mistero auto-generante che continua a essere la vita, senza pretesa di risolverlo e senza scordarsi che l’abisso affascina, ma può anche inghiottire: al termine del suo Vortex Attraction, per quanto minuscolo, è posto uno specchietto in cui è riflesso ognuno di noi.

Credo che questo artista, nella moltiplicazione visionaria e positivamente rizomatica del tema scelto, abbia in sé qualcosa di spinoziano, dunque di una metafisica ma dell’immanente, che mai cessa di sorprendere e sorprendersi della feroce-intelligente-inarrestabile forza della natura, di cui ha colto coi suoi moti vorticosi e neo-barocchi il senso più profondo, come descritto nella “Poetica della Relazione” da Édouard Glissant: “la poesia non è un divertimento, né un’esposizione di sentimenti o di bellezze. Essa dà forma anche ad una conoscenza, che non può essere colpita dalla caducità.” Di fatto, Bravura lavora su sezioni auree e su segni-simboli antichi quanto e più dell’uomo, essendo i vortici spiraliformi gli stessi dai gasteropodi alle galassie, ovvero l’energia alla base e nel futuro di ciò che esiste e che lui restituisce nelle progressioni vitali e preziose di questi suoi lavori.

Il suo secondo nucleo concettuale prevede un’attenzione dell’artista verso aspetti più critico-sociali, con accenti anche ironici, come nelle diverse serie delle firme, un’immagine che lo ha affascinato sin dagli anni ’80, che ha già declinato in pittura e mosaico e che sta tornando a interessarlo per nuove produzioni. La firma è l’ossessione occidentale e moderna dell’identificazione della paternità di un’opera: è noto che l’ultimo Dalì firmasse blocchi di fogli in bianco poi riempiti dai suoi collaboratori e non è certo una pratica isolata. Dunque, in casi come questi, cosa si colleziona, la firma o la presunta opera e quest’ultima che valore effettivo ha? Bravura risponde inscenando un caotico groviglio di (sue) firme nere, soggetto delle superfici dipinte o ricoperte dalle tessere: in ciascuna eventualità, la pioggia segnica è talmente elevata da annullarne la decifrazione attraverso sovrapposizioni di colore o rottura di andamenti, talché risulta impossibile capire questi labirinti nei cui meandri viene occultata la supposta chiarezza che la firma dovrebbe garantire.

Marco Bravura, Cornucopia, 2020

Se la Cornucopia del 2020, curvilinea e dorata come da tradizione ma, realizzata in piena pandemia, non può che risultare vuota, con al centro depositato un unico frutto, una banana che cita ludicamente Cattelan e il nostro stesso tempo, fa ancora parte di quei lavori che graffiano sornioni l’avidità e le mancanze sostanziali del presente, altre opere affrontano con una critica più asciutta e serrata eventi drammatici della storia più e meno recente e si legano con la loro denuncia al tema primario della vita, benché offesa. Mi riferisco alla tragica Lampedusa del 2014, il cui bianco abbagliante ricopre come un velo di pietà e insieme un “J’accuse” gli oggetti dei migranti sommersi (scarpe, borracce, giocattoli, cappellini: quelli erano esseri umani vivi), identità perdute nel fondo del Mediterraneo, esistenze spezzate e rubate dalla povertà e violenza da cui scappavano e dall’indifferenza europea di chi avrebbe dovuto accoglierle. Della stessa dura sobrietà è un progetto futuro da realizzarsi a Tarusa, che rappresenta in forma monumentale il numero 101, ovvero i Km che marcavano la distanza minima (sempre superiore ai 100) dalla capitale delle località a cui erano destinati i dissidenti del regime sovietico: se da una parte è un lavoro alla memoria della libertà ferita che simbolicamente indica il numero in negativo, ovvero su una grande lastra musiva, lasciando completamente vuoti gli spazi delle cifre, dall’altra questa grande assenza/presenza è almeno in parte colmata proprio da noi, futuri visitatori, che più o meno consapevolmente ci rifletteremo nei minuscoli specchi di cui sarà disseminata l’opera stessa.

Del resto, i giochi di ribaltamento dei significati sono caratteristici di questo autore, tanto nei suoi esiti formali più naturali (Bright Shadow del 2020 è il doppio su muro dello Scudo Invisibile del 2008, ma qui la cosiddetta ombra è pura luce dorata: un ossimoro visivo), quanto nei suoi aspetti più critici (Questo non è un Mandala del 2011 fin dal titolo denuncia ciò che sembra rappresentato ma non è, se non a una prima e superficiale visione: dunque a quale scimmiottata spiritualità si sta facendo riferimento?). In ogni caso, Marco Bravura sa condurre e risolvere queste contraddizioni mai mancando di un piacere dell’occhio e dei sensi, fin da quando, memore del viaggio indiano nel Rajasthan negli anni ’70, dove aveva visto la maestria delle donne locali nel cucire patchwork di tessuti poveri alfine uniti con grazia, verso la fine degli anni ’80 volle dedicare al fascino di quel ricordo e alla pazienza di quell’umile arte femminile la sua serie di arazzi che, oltre a segnare il suo ritorno al mosaico, simulavano stoffe la cui trama era divenuta musiva, dunque rovesciando e così celebrando la semplicità delle anonime artigiane con lo splendore degli intrecci di tessere e luce. Per altro, proprio questi lavori favoriranno la cooperazione con Tonino Guerra, da cui poi nasceranno fontane pubbliche come Il Tappeto Sospeso del 1997 a Cervia, vicino a Ravenna.

Bravura ha sempre cercato un rapporto fra opera, ambiente architettonico o naturale in cui questa è inserita e interazione con lo spettatore (con alcune affinità al modus operandi e alle inversioni inattese delle forme specchianti di Anish Kapoor), cose che a me richiamano l’incanto di quella pagina di taccuino di Peter Handke in cui, partendo dalla descrizione di un corso d’acqua, tutto il naturale sembra confondersi, divenendo il proprio speculare, in una sintesi finale che ritrovo parimenti nel nostro artista: “(il fiume) …appariva come la visione rovesciata del cielo, con i banchi di sabbia che corrispondevano ai banchi di nuvole, sicché il cielo proseguiva quasi indistinguibile nel fiume, e il fiume nel suo fluire tranquillo, rapido e silenzioso, proseguiva nel cielo, ed entrambi, insieme, venivano a formare una superficie davanti all’osservatore che, con la terra scura sotto e dietro di sé, con il cielo scuro dietro e sopra di sé, si sentiva come dentro a una conchiglia che, con la sua grande fessura, stava aperta su un ampio, delicato chiarore; le prime strisce di orizzonte nel cielo erano le ultime strisce di terra in riva al fiume”.

Marco Bravura, Dom Literatorov Murale (particolare), 2018-2020, Tarusa, Russia

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In preparazione alla visita della mostra di Keith Haring “Radiant Vision” a Monza organizzata per il 28 gennaio 2023 da AGENZIA VIAGGI EVENTI G.A.P. SERVICE in collaborazione con CARP Associazione di Promozione Sociale, e della mostra dedicata a “WARHOL HARING BASQUIAT” prevista inaugurare a Bologna presso Palazzo Belloni il prossimo 11 marzo 2023, è stato organizzato un Workshop di CARP espressamente dedicato al tema. 

MARTEDÌ 10 GENNAIO 2023 ALLE ORE 18:00

presso lo spazio espositivo Pallavicini22 Art Gallery in viale Giorgio Pallavicini 22 a Ravenna 

Luca Maggio, critico d’arte e socio onorario di CARP APS

tratterà di “Pittura e graffitismo fra New York e Europa negli anni ’80”.

Ingresso libero e consentito fino alla capienza massima della sala.

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