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Archive for aprile 2016

Giusto di Gand (o Pedro Berruguete), Cardinal Bessarione, anni '70 del XV secolo, Musée du Louvre, Parigi

Giusto di Gand (o Pedro Berruguete?), Cardinal Bessarione, anni ’70 del XV secolo, Musée du Louvre, Parigi

 

I libri sono pieni delle parole dei saggi, pieni degli esempi degli antichi, dei costumi, delle leggi, della religione. Vivono, discorrono, parlano con noi, ci insegnano, ci ammaestrano, ci consolano, ci fanno presenti – ponendole sotto gli occhi – cose remotissime dalla nostra memoria. Tanto grande è la loro forza, la loro dignità, la loro maestà e infine la loro sacralità, che, se non ci fossero i libri, saremmo tutti rozzi e ignoranti, senza alcun ricordo del passato, senza alcun esempio e non avremmo conoscenza alcuna delle cose umane e divine; la stessa urna che accoglie i corpi degli uomini avvolgerebbe nell’oblio anche i loro nomi.

Cardinal Bessarione (Trebisonda, 1403 – Ravenna, 1472), dalla lettera al doge Cristoforo Moro, 31 maggio 1468.

 

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Sara Vasini

Sara Vasini, I want to sleep with you, 2016, corallo rosso corallo nero e marmo in oggetto già fatto

Premessa: credo di non aver mai fatto una premessa prima di una delle mie interviste. Ma questa intervista è speciale. Mi ha commosso l’amore totale, l’identificazione di questa ragazza con la sua materia-anima-carne viva e quotidiana, il mosaico, l’aria che la fa vivere.

Ho rispettato le parole, il corsivo, le Maiuscole dell’artista, perché persino i caratteri delle sue parole-tessere hanno significato e desiderano essere scritte come lei le ha pensate.

Anche di questo, grazie, Sara.

Dedico questa pagina a Michele Tosi, professore (anche di Sara) e grande studioso del mosaico, purtroppo recentemente scomparso.

 

Sara Vasini (Bellaria, 1986): quando hai capito che il mosaico faceva parte di te, del tuo mondo-modo di ragionare? Racconta di questa folgorazione, dei tuoi maestri, degli incontri che ti hanno formata.

Quando facevo la terza media, Paolo Racagni e Marco de Luca sono venuti a presentare l’Istituto d’Arte per il Mosaico Gino Severini.

Non ricordo le parole, ma tutt’ora è rimasto quel fascino del mosaico che mi avevano trasmesso. Con molta umiltà e dedizione presentavano un Mondo, come in Correspondances, di Charles Baudelaire, e volevo scoprire quella magia che è il mosaico, che non ha parole.

Avevano fatto vedere una cassetta, uno seduto alla destra e uno alla sinistra del televisore – al centro il mosaico. Ricordo con precisione le mura di San Vitale, il resto delle immagini le ho rimosse. Se penso al mio incontro con il mosaico è questo, e sono ancora lì, fuori, fuori a contemplare le mura di San Vitale, aspettando qualche messaggio confuso.

Ricordo il primo giorno di scuola, Paolo Racagni ci ha fatto tagliare dalla prima ora. Siamo entrati, ci ha presentato tagliolo e martellina, ci ha fatti sedere e abbiamo iniziato a tagliare del marmo.

Poi, le scuole medie e i primi anni delle superiori sono un po’ un Medioevo. Anni poco chiari, ma pieni di colore, dove gli Altri non riescono ad intenderci, perché noi stessi non riusciamo ad intenderci. Ora, mi sento veramente tanto fortunata ad aver avuto il mosaico in quel momento, è la mia lingua madre. Non avevo parole per esprimermi, finché non ho incontrato il mosaico, e nel tempo, negli Alti e nei bassi della mia vita il mosaico è sempre stato Casa, è sempre stato l’abbraccio e la carezza di una Madre. L’Astrazione non è solo ne gli occhi degli Imperatori, è anche in chi fa mosaico, nel momento stesso in cui fa mosaico.

Sono molto legata all’Istituto d’Arte per il mosaico di Ravenna. C’è un’energia particolare quando incontro altre persone che hanno fatto quella scuola, un’intesa, un tacito accordo che si riassume nella parola mosaico. L’Istituto d’Arte di Ravenna è Educazione alla durata interiore. In un mondo dove tutto è veloce l’Istituto d’Arte ci Donava – ci Dona! – il diritto di essere del tutto fuori moda, fin da piccini.

Sara Vasini, Prometeo, 2015, madre perla smalto marmo conchiglie e oro in oggetto già fatto, 11x19 cm

Sara Vasini, Prometeo, 2015, madre perla smalto marmo conchiglie e oro in oggetto già fatto, 11×19 cm

Insomma, l’Istituto d’Arte per il Mosaico è il Vero Maestro. Poi, i Professori – sì, Maestri a loro volta – cambiano, passano, ma tutti Loro hanno il Rispetto della tradizione.

Ultimamente stavo rileggendo L’Arte del Marmo di Adolfo Wildt e nel saggio critico che lo accompagna di Elena Pontiggia ho trovato quello che rappresenta tutti i miei Maestri di Mosaico: L’arte nasce dall’originarietà, non dall’originalità.

Nessuno dei miei Maestri mi ha imposto il proprio stile. Tutti i miei Maestri mi hanno insegnato mosaico sul campo, senza parole. Il mosaico non s’insegna con le parole, ma con il fare, con messaggi confusi. Nessuno di loro mi ha mostrato i propri lavori, sì, li ho scoperti poi – tempo al tempo. Tutti i miei Maestri mi hanno lasciata libera.

Ho avuto veramente tanti Maestri di mosaico, ne ho tuttora talmente tanti che citarne uno toglierebbe la Grazia a un Altro, scrivendone i nomi qua in fila (poi, non tutti i miei Maestri di mosaico hanno fatto un mosaico). Potrei iniziare dal primo all’ultimo, ma in mezzo ci sono piccoli incontri con persone che ho incontrato anche solo per un minuto che hanno detto quella frase saggia che mi ha dato la forza di amare ancora di più il mosaico.

Tutti i miei Maestri di mosaico sono Filosofi, che parlano attraverso la materia, attraverso il rapporto, l’armonia, che si crea tra una tessera e l’altra, nell’andamento.

Marcello Landi, ai tempi dell’Istituto d’arte direttore, diceva che a un certo punto al mosaicista vengono le mani da pianista; s’aprono, s’allungano nel toccare i tasti-tessere.

E sì, il mosaicista è un musicista, di un suono segreto. Il silenzio è cosa della materia e del mosaicista, mentre crea un mosaico e mentre è nel mondo. L’unico suono che gli appartiene è quello tra tagliolo e martellina. Del resto, come ha detto Federico Nietzsche Tutti parlano, parlano e nessuno dice niente.

Non mi sono mai resa conto del fatto che il mosaico facesse parte di me, perché sono stata educata fin da piccola al mosaico. Ho preso coscienza del mondo attraverso il mosaico, come dicevo prima è la mia lingua Madre, il mosaico mi ha insegnato a ragionare. E penso veramente di non avere null’altro al mondo se non il mosaico.

Come un giorno mi disse Ines Morigi Berti: Nella vita puoi avere solo una passione, perché devi dedicarti a lei, totalmente.

Sara Vasini

Sara Vasini, Latte +, 2016, smalto filato in oggetto già fatto

Nel tuo processo creativo, usi il rigore del mosaico bizantino, non necessariamente le tessere tradizionali, anzi. Penso alle serie Nasso, ma anche a Una stanza tutta per sé, titolo significativamente mutuato dalla Woolf. A questo proposito c’è poi tutto il rapporto intimo che hai con la parola, specie se in versi. Potresti illustrare con esempi di tue opere i tratti salienti della tua poetica?

Il mosaico è filosofia del rapporto fra entità differenti – le tessere -, ma allo stesso tempo è concetto pratico di una filosofia monista. Insomma, dal generale al particolare, il mosaico offre differenti spunti di riflessione, che a mio avviso convivono in totale armonia in qualsiasi ambito della vita li si applichi. Il mosaico è come una Religione, con precetti e morale, e quando si lavora si prega. Ma il mosaico è anche una droga (allego un lavoro che sto facendo in questo momento, insomma, che mi guarda perché ora sto scrivendo, Latte + ispirato ad Arancia meccanica di Stanley Kubrick, mosaico filato in ceramica).

Il mosaico è già Arte Concettuale dal momento in cui, in epoca Bizantina, nel suo farsi utilizza tessere di smalto per riflettere la Luce, che rappresenta simbolicamente Dio. È già Arte Concettuale quando all’esterno ritroviamo la semplicità, la povertà dei mattoni e all’interno lo Splendore e la Ricchezza degli Ori e della Pasta Vitrea, a dire che non è importante l’esteriorità ma l’interiorità (questa è una delle motivazioni che mi porta a fare mosaico dentro a oggetti già fatti, e non a ricoprirli).

La ricerca concettuale è un Minotauro fatto per metà di materia e metà di parole, quando le parole non bastano viene in soccorso la materia e viceversa.

Se nei miei lavori metto a proprio agio il Minotauro non è perché la mia educazione bizantina è stata deviata dalla ricerca visiva degli anni Sessanta. Il mosaico Bizantino è ricerca concettuale da molto tempo prima.

La vera tradizione del mosaico bizantino non è qualcosa di materiale che si possa definire in tecnica, a mio avviso. La vera tradizione del mosaico bizantino è una religione del tutto concettuale che sta nel Mondo delle Idee, al di là della materia, nell’Astrazione.

Sara Vasini, Nasso, 2013, Giardino e Chiostro della Biblioteca Oriani, Ravenna

Sara Vasini, Nasso, 2013, installazione presso il giardino e chiostro della Biblioteca Oriani, Ravenna

 

Sara Vasini, Nasso, 2013, Giardino e Chiostro della Biblioteca Oriani, Ravenna

Sara Vasini, Nasso, 2013, legno di rovere, base 9,3×9,3 cm, altezza 250 cm, installazione presso il giardino e chiostro della Biblioteca Oriani, Ravenna

Nasso è un lavoro che nasce in funzione ad un Luogo.

Il luogo è il Chiostro della Biblioteca Oriani, in piazza San Francesco a Ravenna. In epoca Medioevale, il Chiostro rappresentava il percorso del pellegrino e del peccatore per arrivare al centro, al giardino, a Dio. In epoca fascista questo chiostro è stato tagliato. Dunque, oggi, non vi è più possibilità di catarsi. Un gioco a cui non si può giocare.

Ho deciso di riprodurre, rielaborare, il Jenga.

Il Jenga è un gioco da tavolo, il suo nome è tratto dalla lingua Swahili e significa costruisci. Il gioco consiste nella sistemazione di tessere rettangolari, tre per piano, sovrapposte in altezza andando a formare una torre. I giocatori a turno sottraggono un blocchetto – una tessera – dalla torre e lo posizionano sulla sommità della torre. Durante il gioco la torre diventa sempre più instabile, e colui che ha tolto l’ultima tessera, che farà crollare la torre stessa, ha perso. Il vincitore è colui che precede il perdente.

Data l’impossibilità di catarsi del pellegrino e del peccatore, data l’impossibilità di gioco, ho deciso di rielaborare il Jenga rendendolo celibe come il Chiostro stesso. Le tessere del Jenga, rettangolari come le stesse dei mosaici bizantini per andare più a fondo – come denti nella carne, diceva la mia Maestra di mosaico Adriana Morelli -, sono in legno di rovere, Quercus Petraea. Lo stesso rovere che preserva (il rovere è uno tra i materiali più pregiati per le botti) il liquido di quel Dio ignoto, Dioniso, che ha lasciato in Nasso Arianna, nell’isola della pazzia. Nell’isola dell’eterno ritorno. La pazzia, l’abbandono, un chiostro che non ci lascia più la possibilità di redenzione a lato del sepolcro del sommo Poeta che tanto aveva Cantato la catarsi attraverso il rituale del Viaggio.   

Sara Vasini, Una stanza tutta per sé

Sara Vasini, Una stanza tutta per sé (particolare di una pagina), 2014, inchiostro acquarelli e tempere su carta, 25×35 cm

Una stanza tutta per sé nasce come omaggio a Ines Morigi Berti. Era l’insegnante di Adriana Morelli. Alle superiori fui accolta a casa sua con Felice Nittolo per un’intervista. Casa sua era il suo studio. Le chiesi perché trasfigurasse dei mosaici su cartoni di Altri, Lei mi rispose che nella vita si può avere solo una passione, perché bisogna dedicarsi a lei totalmente. Ho deciso di ricordarla traducendo un testo che me la ricorda molto. Una stanza tutta per sé è un’insieme di lezioni tenute da Virginia Woolf in un college femminile, il tema del “workshop” era La donna e il Romanzo. In questo libro la Signora Woolf spiega alle studentesse una cosa molto bella: l’artista non è donna o uomo, l’artista è androgino. L’artista deve avere qualcosa di femminile e qualcosa di maschile. E cosa deve avere un artista per poter lavorare alla sua propria ricerca? Un po’ di denaro per potersi mantenere e una stanza tutta per sé, dove poter lavorare e sognare in tutta tranquillità.

Sara Vasini, Una stanza tutta per sé

Sara Vasini, Una stanza tutta per sé, 2014, installazione, dimensioni variabili

 

Sara Vasini, Una stanza tutta per sé, 2014, installazione, dimensioni variabili

Sara Vasini, Una stanza tutta per sé, 2014, installazione, dimensioni variabili

Lo studio della Signora Berti è le prime Stanze di un’artista nelle quali ho avuto l’Onore di essere accolta. Ho semplicemente trasfigurato un testo scritto, come nel mosaico si trasfigura un’immagine. Ho eliminato la crenatura, per rappresentare l’incomunicabilità della sua perdita, della perdita della Signora Berti. Tuttavia, la storia della crenatura viene da molto lontano.. Dopo il Premio Tesi, dopo Nasso, tu, Luca, mi hai consigliato La casa di carta di  Carlos Marìa Domìnguez; ad un tratto nel libro apparì la parola crenatura, non conoscevo quella parola, cercai il suo significato. La crenatura è quel vuoto – interstizio? – tra una parola e l’altra, quel vuoto che dona senso ad ogni singola parola – tessera? – . Decisi di abolire la crenatura, abolire l’interstizio, per poi ritrovarlo tra una pagina e l’altra durante l’istallazione del lavoro. Il mosaico in Una stanza tutta per sé sta anche nel rapporto tra una pagina e l’altra.

Semplicemente: il mio Minotauro non voleva dire Dio attraverso la Luce delle tessere, come nel mosaico bizantino. Il mio Minotauro voleva parlare senza parole a Ines Morigi Berti, seguendo sempre le regole della composizione. Ogni lavoro, ogni Minotauro, è un mondo a sé. In funzione del concetto, della riflessione, cambio materiale. Certo è che la luce degli smalti rimane una delle più affascinanti.

Sara Vasini, Tu (particolare), RAM 2015, oro conchiglie marmi e smalti in oggetto già fatto, ditale da cucito

Sara Vasini, Tu (particolare), RAM 2015, oro conchiglie marmi e smalti in oggetto già fatto (ditale da cucito), installazione, dimensioni variabili

A che punto sei della tua vita, Sara? Dove ti trovi adesso e quali, se ne hai, progetti prevedi per il futuro?

Sto frequentando il biennio di mosaico presso l’Accademia di Belle Arti di Ravenna. Sono passati anni dal triennio. In questi anni ho avuto l’onore di assistere in studio uno scultore. Ho fatto esperienze mie proprie. Ora, ho deciso di terminare la carriera scolastica, ancora fuori dalle mura, sempre in attesa.

Desidero solo aver seguito in questa cosa piena di Grazia che è il mosaico. Ho ventinove anni e mi sento ancora una quattordicenne: tutte le volte che ne inizio uno nuovo, è sempre la prima volta e non mi sento mai all’altezza del suo Nome.

Il progetto per il futuro forse è proprio questo: rimanere quella quattordicenne che non si sente all’altezza, e seguitare fino all’ultimo dei miei giorni a fare mosaico.

Come mi disse Ines Morigi Berti nel suo studio: Sono sempre stanca, ho poche ore di lucidità al giorno, ma in quelle ore faccio mosaico.

Sara Vasini: favoleperadultiancorabambini.blogspot.it

Sara Vasini, Astrazione, incisione, inchiostro su pergamino argenteo, istallazione, dimensioni variabili, 50x70 cm per stampa (foto di Maurizio Nicosia)

Sara Vasini, Astrazione, 2010, incisione, inchiostro su pergamino argenteo, installazione, dimensioni variabili, 50×70 cm per stampa (foto di Maurizio Nicosia)

 

Sara Vasini, Astrazione, incisione, inchiostro su pergamino argenteo, istallazione, dimensioni variabili, 50x70 cm per stampa (foto di Maurizio Nicosia)

Sara Vasini, Astrazione, 2010, incisione, inchiostro su pergamino argenteo, installazione, dimensioni variabili, 50×70 cm per stampa (foto di Maurizio Nicosia)

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Premessa: come ogni anno, l’unica ricorrenza che il blog festeggia è il primo aprile, stavolta dedicato al grandissimo Paolo Poli (che fortuna averlo visto anni fa a teatro!) attraverso un’immagine di Warhol e i versi sui Fiori del suo amato Palazzeschi, qui presentati nella loro versione originale del 1913. Buon divertimento.

Andy Warhol, Flowers, 1964

Andy Warhol, Flowers, 1964

Non so perché quella sera….
fossero i troppi profumi del banchetto….
irrequietezza della primavera….
un’indefinita pesantezza
mi gravava sul petto,
un vuoto infinito mi sentivo nel cuore….
ero stanco, avvilito, di malumore.
Non so perché, io non avea mangiato,
e pure sentendomi sazio come un re
digiuno ero come un mendico, chi sa perché?
Non avea preso parte
alle allegre risate,
ai discorsi consueti
degli amici gai e lieti;
tutto m’era sembrato sconcio,
tutto m’era parso osceno,
non per un senso vano di moralità,
che in me non c’è,
e nessuno si era curato di me,
chi sa….
O la sconcezza era in me….
o c’era l’ultimo avanzo della purità.
M’era, chi sa perché, sembrata quella sera
terribilmente pesa
la gamba che la buona vicina di destra
teneva sulla mia
fino dalla minestra.
E in fondo…
non era che una vecchia usanza,
la più vecchia del mondo.
La vicina di sinistra,
chi sa perché,
non mi aveva assestato che un colpetto
alla fine del pranzo, al caffè;
poi mi aveva ficcato in bocca mezzo confetto.

 

Quando tutti si furono alzati,
e si furono sparpagliati

di qua e di là,
negli angoli, nei vani delle finestre,
sui divani e sofà
di qualche romito salottino,
io, non visto, uscii nel giardino
per prendere un po’ d’aria.
E subito mi parve d’essere liberato,
la fresca e pura aria
irruppe nel mio petto
risolutamente,
e il mio petto si sentì rinfrancato.

Bella sera luminosa!
Fresca, di primavera!
Pura e serena!
Milioni di stelle amorose
sembravano occhi di purità

sorridermi dal firmamento.
Come mi sentivo contento!
Salde, robuste piante
dall’ombre generose,
sotto voi passeggiare,
sotto la vostra sana protezione obliare,
ritrovare i nostri pensieri più puri,
sognare casti ideali,
dimenticare tutti i mali del mondo,
degli uomini,
tutte le nefandezze!
Fra voi fiori sorridere,
fra i vostri profumi soavi,
angelica carezza di frescura,
esseri pura della natura!
Oh! com’è bello, sentirsi libero cittadino,
solo, nel cuore di un giardino!

 

– Zz…. Zz.…
– Che c’è?
– Zz…. Zz….
– Chi è?
M’avvicinai donde veniva il segnale,
all’angolo del viale
una rosa voluminosa
si spampanava sulle spalle
in maniera scandalosa

il décolleté.
– Non dico mica a te.
Faccio cenno a quel gruppo di bocciuoli
che son sulla spalliera,
ma non vale la pena.
Magri affari stasera,
questi bravi figliuoli
non sono in vena.
– Ma tu chi sei? Che fai?
– Bella, sono una rosa,
non m’ài ancora veduta?
Sono una rosa e faccio la prostituta.
– Chi?… Te?…
– Io, sì, che male c’è?
– Una rosa?
– Una rosa, perché?
All’angolo del viale
aspetto per guadagnarmi il pane,
faccio qualcosa di male?
– Oh!…
– Che diavolo ti piglia?
E credi che sien migliori,
i fiori,
in seno alla famiglia?
Voltati, dietro a te,
lo vedi quel cespuglio
di quattro personcine,
due grandi e due bambine?
Due rose e due bocciuoli?
Sono il padre, la madre, coi figlioli.
Se la intendono…. e bene,
tra fratello e sorella,
il padre se la fa colla figliola….
la madre col figliolo….
Che cara famigliola!
Mio caro, è ancor miglior partito
farsi pagar l’amore
a ore,
che farsi maltrattare
da uno sconcio marito.
Quell’oca dell’ortensia,
senza nessun costrutto,
si fa finir tutto
da quel coglione

del girasole.
Vedi quei due garofani
al canto della strada?
Come sono eleganti!
Campano alle spalle delle loro amanti
che fanno la puttana
come me.
– Oh!… Oh!…
–  Oh! Ciel che casi strani,
due garofani ruffiani!
E lo vedi quel giglio,
lì, al tronco di quel tiglio?
Che arietta ingenua e casta!
Ah! Ah! Lo vedi? È un pederasta.
– No! No! Basta!
– Mio caro, e ci posso far qualcosa,
se il giglio è pederasta,
se puttana è la rosa?
– Anche voi!
– Che meraviglia!
Saffica è la vainiglia.
E il narciso, specchiuccio di candore,
si masturba quando è in petto alle signore.
– Anche voi!
– E la violaciocca….
fa certi lavoretti con la bocca….
– Anche voi, poveri fiori,

misero pasto delle passioni!
– E la modestissima violetta,
beghina d’ogni fiore?
Fa lunghe processioni di devozione
al signore,
poi…. all’ombre dell’erbetta….
sapessi cosa fa del ciclamino….
È la più gran vergogna
corrompere un bambino!

 

Alzai la testa al cielo
per trovare un respiro.
Mi sembrò dalle stelle pungermi
un malefico cinguettio!
Mi gettai sulla terra

prono, bussando con tutto il corpo affranto!
Basta! Basta!
Ò paura!
Dio!
Abbi pietà dell’ultimo tuo figlio,
aprimi un nascondiglio
fuori della natura!

 

Aldo Palazzeschi (Firenze, 1885 – Roma 1974), I fiori da L’incendiario, 1913 (2ª edizione), pp.199-204.

 

 

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