Giuseppe Arcimboldi, Il bibliotecario, 1562 ca., Skokloster Slott, Styrelsen, Stoccolma
Anni fa, rimasi male del fatto che a quasi nessuno degli amici cui l’avevo consigliato piacque quel piccolo gioiello che è Utz di Chatwin, in effetti diverso da altre cose sue.
Col senno di poi, capii che avevano ragione loro: non potevano amare la storia tragico-malinconica (e basata su fatti realmente accaduti) di quel povero collezionista di porcellane Meissen, stretto fra la morsa nazista prima e stalinista-sovietica poi, poiché la maggior parte di loro non era affetta da uno dei virus più incurabili che abbia mai infettato l’umana specie: il collezionismo. E collezionisti si nasce: il morbo può anche restare silente per anni e poi manifestarsi in tutta la sua inguaribilità.
Tutto può essere oggetto-feticcio da collezione: quadri, francobolli, monete, statue e stampe antiche o moderne, ma anche scarpe, tappi (ricordo che da bambino raccoglievo quelli dei succhi Valfrutta con le bandiere del mondo) e cavatappi, bottiglie della coca cola, pacchetti di sigarette, pipe, posacenere, lego e diolebenedica figurine, vestiti e gioielli, cammei, ma anche cartoline, come sa bene Enrico Sturani, il più grande, competente e divertente collezionista italiano (europeo? mondiale?) del genere: provate a leggere Cartoline. L’arte alla prova della cartolina (Barbieri Editore, 2010) o le esilaranti Memorie di un cartolinaro (Roma, 2004).
Carl Spitzweg, Il topo di biblioteca, 1850, Schweinfurt, coll. Georg Schaefer
Ma una delle peggiori tipologie di collezionista è quello di libri: ed è un attimo scivolare da bibliofilo a bibliomane, bibliofolle o addirittura bibliofago, come Johann Ernst Biren, che nel XVIII secolo da scrivano divenne duca di Curlandia e fu divoratore di carta in senso letterale, tanto da ispirare al Balzac delle Illusioni perdute, il capitolo Storia di un favorito (dello stesso autore, a proposito di collezionismo di dipinti, si ricordi il formidabile Il cugino Pons), e in tempi più recenti, una biografia da parte di Edgardo Franzosini, Il mangiatore di carta. Alcuni anni della vita di Johann Ernst Biren (Milano, 1989). Altro caso inquietante e realmente avvenuto è quello del parroco assassino Johann Georg Tinius, di cui è testimone il romanzo di Klaas Huizing Il mangialibri (Monaco, 1994, in it. Vicenza, 1996).
Di vicende legate alla bibliomania è ricca la letteratura di ogni tempo, da Luciano di Samosata a Cesare Beccaria, ma in particolare durante il XIX secolo numerosi sono gli autori francesi che vi si dedicano, dalla prima prova del giovanissimo Flaubert, Bibliomanie (1836), a Le Bibliomane di Charles Nodier (1831), dal Boulard bibliomane di Descuret (1841), a L’enfer du bibliophile di Charles Asselineau (1860), sino a La fausse Esther di Pierre Louÿs (1903).
Tornando al reale, non meno malato dell’immaginario letterario, che anzi sul dato reale si fonda e affonda l’inchiostro, sono testi godibilissimi le memorie di Via Ripetta 67. “Al Ferro di Cavallo”: pittori, scrittori e poeti nella libreria più bizzarra degli anni ’60 a Roma (Bari, 2005) di Agnese De Donato e La collezione (Torino, 2009) di Giampiero Mughini, in cui, come recita il sottotitolo, Un bibliofolle racconta i più bei libri italiani del Novecento, con pagine a dir poco commoventi (fra cui quelle su Dino Campana, stupende), libro dedicato a Roberto Palazzi (1946-2002), tragicamente suicidato otto anni fa, lettore onnivoro, libraio generoso, amico e maestro iniziatore di libri non solo di Mughini, ma di tantissimi altri, di tutti, come recita la dedica. Di questo grande sono stati raccolti e pubblicati poco tempo fa gli Scritti di bibliografia editoria e altre futilità (Macerata, 2008).
Filippo Tommaso Marinetti, 8 anime in una bomba, Milano,1919
Fra i suoi beneficiati, si trova ai primi posti Pablo Echaurren, romano benché figlio del cileno Sebastian Matta (al secolo Roberto Antonio Sebastián Matta Echaurren) e pittore a sua volta, autore di fumetti (Caffeina d’Europa. Vita di Marinetti, Roma, 2009) e della storica copertina di Porci con le ali, scrittore e marito della storica dell’arte e del futurismo Claudia Salaris, ma soprattutto e anzitutto collezionista, o meglio il collezionista di libri, plaquettes, manifesti e qualsiasi futurcellulosa partorita dai marinettiani: fra le sue ultime perle, Nel paese dei bibliofagi (Macerata, 2010) è il coming out più fluviale e brillante che si possa avere da un bibliomane consapevolmente felice della propria mania, perché in sostanza, “il collezionista in genere, e quello di libri in particolare, è, senza appello, un tossico.” (Flaminio Gualdoni)
E come ogni tossico ha il suo pusher, così ogni bibliofilo-bibliofolle ha i suoi librai (spesso a loro volta intossicati dal “veleno” che vendono), contro cui combattere battaglie ferocissime e strategie che neanche Sun Tzu sui costi levitanti più di schiere di monaci buddisti, cui l’autore dedica strali spassosi (ai librai s’intende, non ai seguaci del mistico sorridente pluritrippe), poiché la carenza di pecunia è per ogni drogato l’incubo che prelude a crisi di astinenza insopportabili, alla perdita dell’oggetto tanto desiderato da scadere “nel fecale, nell’assolutamente anale”, poiché “senza lilleri non si lallera miei cari, e noi vollimo sempre vollimo lallerare, di molto assai.”
Tutto questo narrato nello stile libero, pirotecnico di Echaurren, fatto di suoni, neologismi, metafore, rime, assonanze, allitterazioni, onomatopee, doppi tripli sensi ed espressioni baroccofuturgaddesche, a mescolare-mascherare il vernacolo col linguaggio più intellettualmente chic, risultando così arguto e sempre assai competente (si veda anche il suo Futurcollezionismo, Milano, 2002), dando vita ad una scrittura “in movimento mentale perenne” talché “nessuno saprà mai se quell’errore è tale o è voluto, se il refuso che dopo l’ennesima lettura hai scovato è davvero un refuso o è il ghigno irridente di questo artista perenne e colto. E quindi lasci tutto com’è, non tocchi nulla perché potresti tu commettere un errore”, come scrive nella bellissima postfazione Annette Baugirard.
Ps. Parlando di libri, non si può alfine non segnalare per completezza, amore della materia trattata, brio di lettura e corredo iconografico di tutto rispetto, Una storia del libro. Dalla pergamena a Ambroise Vollard (Milano, 2008) di Flaminio Gualdoni.
Pablo Picasso, Ritratto di Ambroise Vollard, 1909-10, Museo Puškin, Mosca
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