“… perché l’unica cosa che dà beneficio al critico è questo fatto di intromissione, poterlo continuamente esercitare, mantenere fintanto che non diventa cosciente e lo fai più serenamente, ecco. Invece poi, l’inoltrarsi in una carriera, il prendere atteggiamenti di potere, questa è un’incrostazione sopra che non c’entra niente. Il critico, per questo bisogno di intromissione che ha, è il più disposto a fare delle iniziazioni o delle esperienze su delle cose altrui e questo andrebbe mantenuto perché, per me, è importantissimo che una parte della società, minima anche, si avvicini a degli artisti come la più disposta e la più interessata a seguirli. E gli artisti dovrebbero avere care queste persone che, in un certo senso, si prestano come a una cosa di cui hanno bisogno e che rappresentano un po’ anche il loro bisogno della società. Però, questo, andrebbe mantenuto allo stato puro, non andrebbe reso istituzione perché una volta che è reso istituzione, prende tutti i vizi propri delle istituzioni e delle ideologie. Il critico, invece di essere colui che è disponibile e ha bisogno, diventa colui che giudica e crea tutta una gerarchia. E in questa attività che lui finisce per svolgere, veramente si annulla la cosa iniziale da cui era partito, e diventa una persona completamente non autentica, non più autentica.”
Carla Lonzi, Autoritratto, Milano 2017, pp.40-41.
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Una riflessione
di Luca Maggio
Sento profondamente mie queste parole tratte da Autoritratto, capolavoro di Carla Lonzi (1931 – 1982), indimenticata figura di intellettuale e femminista, prematuramente scomparsa quarant’anni fa, pubblicate per la prima volta dall’editore De Donato di Bari nel 1969. Mi ritrovo nella loro integrità concettuale e esistenziale. Ho sempre cercato di mantenermi alla larga dalla inautenticità del critico di potere, lasciando a ben altre facce tale miseria, che alla fine, com’è inevitabile, influisce sulla persona, sul proprio lavoro, inquinando e compromettendo irreparabilmente ogni possibile meditazione. Al dunque, perché siamo attratti dal pensiero visivo che è la cosiddetta arte, perché ne scriviamo? Essenzialmente, mossi da curiosità, per capire (ciò che la Lonzi chiama “intromissione”). E espandere la propria altrimenti limitata visione. Per fare questo decentemente, i compromessi col potere non si possono accettare. Lo confermo: lascio ad altri tale miseria.