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Archive for the ‘fumetto-graphic novel’ Category

www.dedaproject.com

Come lo scorso anno, ringrazio Linda Ricci e Filippo Bartolini, ideatori del DEDA PROJECT, del percorso fatto insieme. I testi di presentazione dei singoli artisti di questa nuova edizione 2021/2022 sono curati da Cecilia Angeli e dal sottoscritto, Luca Maggio.

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Un tuffo nell’infanzia e pre-adolescenza di chi oggi è quarantenne: dal 12 settembre 2020 fino al 10 gennaio 2021 (al momento l’esposizione è sospesa come da ultimo Dpcm, causa Coronavirus) nella sede di Palazzo Santa Margherita di Fondazione Modena Arti Visive  è visitabile Anime Manga. Storie di maghette, calciatori e robottoni, a cura di Francesca Fontana ed Enrico Valbonesi.

 L’esposizione è realizzata a partire dai materiali conservati all’interno della Collezione Museo della Figurina, donata nel 1992 da Giuseppe Panini al Comune di Modena e oggi gestita da FMAV.

Come indica il titolo, la mostra si focalizza sul legame tra manga e anime, mettendo in evidenza come nella maggior parte dei casi i cartoni animati giapponesi siano derivati da prodotti editoriali, sebbene non manchino esempi del percorso inverso, per cui celebri anime hanno ispirato la creazione dei corrispettivi manga. Gli anime  risultano, tra l’altro, i protagonisti assoluti dell’editoria delle figurine dagli anni Ottanta in poi, per citarne solo alcuni:  Kiss me Licia, L’incantevole Creamy, Occhi di gatto, Holly e Benji…

Il percorso espositivo illustra la nascita e le modalità di diffusione tipiche di queste forme di intrattenimento, insegna a decodificarne il linguaggio peculiare e i segni grafici, spiega i generi principali in cui vengono suddivisi i manga, da quelli per l’infanzia – i cosiddetti kodomo – agli spokon a tema sportivo, passando attraverso i cartoni animati del World Masterpiece Theater tratti da opere letterarie occidentali. Alcune sezioni sono dedicate al genere femminile shōjo, di cui fanno parte le celeberrime maghette e le storie sentimentali, e shōnen , storie avventurose per il pubblico maschile, con un focus sui mitici robottoni come Mazinga e Danguard. 

www.fmav.org


Irene Guzman press

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cicatrici0La migliore e più sintetica definizione di Gianluca Costantini è quella data nel suo stesso blog channeldraw.blogspot.it ovvero artista/attivista: lui è uno veramente impegnato, uno che crede nelle battaglie per i diritti umani e le porta avanti sino in fondo, ed è un uomo generoso e un vero artista del tratto, nel senso che il suo segno lo riconosci per finezza, eleganza curvilinea verrebbe da dire orientale, calligrafia forse presa anche dalla sua amata e da sempre frequentata Istanbul, chissà.

Insomma è un creativo autentico di cui amo il lavoro e rispetto la coscienza civica, ripeto, vera, vissuta in prima persona, nulla mai retorica (tra gli altri se ne sono accorti anche l’Internazionale e Pagina 99), uno dei tanti piccoli fari rispetto al nostro tempo controriformato, cosa di cui non si ha abbastanza consapevolezza e non mi riferisco tanto alla morale religiosa, ma cosa ancor più grave alla cosiddetta società laica, politicamente corretta e ipocritamente perfetta: lavorando in campo educativo so di cosa parlo. C’è una volontà di omologare, imbrigliare tutto e tutti dentro certe regole sin dall’infanzia, anche se ufficialmente si è tutti per l’inclusione, la diversità e l’espansione delle intelligenze. Sono tempi tristi, terribilmente conformisti quelli attuali. E gli artisti/attivisti come Costantini aiutano ad alzare il velo sulle cose, ad andare verso la direzione opposta alla parete della caverna sulla quale si vedono solo le ombre della realtà. Il bello è che lui lo fa declinando una vasta gamma di sentimenti umani, dall’ironia alla vergogna alla rabbia alla pietà alla dolcezza, con poche tracce di nero (talvolta rosso) su bianco. E con poesia, sempre.

A proposito, uno dei suoi ultimi lavori editi da NdA Press riguarda proprio un’antologia di ritratti di poesia in lotta, come si legge in copertina. È un lavoro stupendo nella sua levità pensante (e non pesante) che consiglio a chiunque per iniziare in modo differente il 2017, ovvero con pensieri folgoranti, illuminazioni direbbe Rimbaud, in cui le parole completano l’immagine e trovano a loro volta sostanza nel tratto dei volti. Poesia, appunto. E coscienza. Eccone una breve galleria.

Ps. Prima di dare doverosamente spazio alle immagini, desidero ringraziare ancora una volta Gianluca Costantini e la sua compagna Elettra Stamboulis  in quanto fondatori di Mirada, l’associazione culturale che in tanti anni di attività faticosa e vissuta con passione ha aperto possibilità fattive di incontro, dialogo, mostre con artisti affermati e giovani sconosciuti (basti citare, fra le mille attività svolte, Komikazen e R.A.M.).

Ora Mirada prosegue i suoi obiettivi solo non più a Ravenna, visto che l’amministrazione cittadina ha deciso di rinunciare anche a questa preziosa e fruttuosa collaborazione, nel clima di generale decadenza culturale che proprio negli ultimi anni è sempre più evidente.

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Premessa: questo articolo è apparso su Mosaïque Magazine n.12, Parigi luglio 2016.

Arianna Gallo, Anime, 2015

Arianna Gallo, Anime, 2015

Anime: lo sguardo di Arianna Gallo su Hayao Miyazaki e lo Studio Ghibli

di Luca Maggio 

“…nonostante il vento che scuoteva gli alberi, regnava uno strano silenzio, e la scena ricordava il mondo immerso nell’acqua che si vede dietro le pareti di vetro di un acquario.” Inoue Yasushi, Il fucile da caccia

L’interpretazione data dalla ravennate Arianna Gallo all’universo parallelo creato dall’animazione (da cui l’abbreviazione “anime”) dello Studio Ghibli e di Hayao Miyazaki in particolare va oltre la traduzione in tessera di alcuni loro personaggi per penetrare e rispettare il pensiero e la cultura che li hanno prodotti.

Il riferimento non è dunque solo alle opere singole appese alle pareti della sala-installazione del laboratorio Koko Mosaico, ma a “come” tutto il materiale è stato organizzato dalla Gallo riuscendo a sintetizzare in termini pop (attitudine già evidente nel suo Lens del 2008, mosaico manga[1] acquisito dal MAR[2] nel 2011) sia le idee di Miyazaki, sia lo spirito che, ad esempio, animava le shoheki-ga, le decorazioni tradizionali con soggetti naturalistici su carta montata su parete, create non come giustapposizioni ma per sposarsi con l’architettura del luogo cui erano destinate[3]: l’armonia in Giappone non è mai qualcosa di accessorio, piuttosto intimamente legata alla tendenza centripeta nipponica, dalla lingua parlata, alla capacità tecnica, sino alla politica.[4]Arianna Gallo, Anime, 2015 (18)

Si tratta però di un’armonia analitica, ovvero tendente a scomporre le varie parti di un insieme, una vera e propria “disposizione a un tempo morale e intellettuale che (…) è presente nei più disparati settori della cultura giapponese”[5], dalla cucina, alla musica, alla pittura che, particolarmente in alcuni stili, nell’arte Yamato ad esempio, tende a separare disegno e colore, stendendo quest’ultimo in modo uniforme: è ciò che avviene nelle opere di Arianna Gallo, in cui le sfumature, se ci sono, sono ridotte al minimo percettibile, talvolta sapientemente celate da tocchi di pittura sugli sfondi dei suoi quadri, mentre il disegno è marcato da linee di contorno evidenti grazie al piombo reso più o meno spesso dalla Gallo secondo l’effetto voluto e il soggetto trattato.Arianna Gallo, Anime, 2015 (3)Arianna Gallo, Anime, 2015 (4)Arianna Gallo, Anime, 2015 (5)Arianna Gallo, Anime, 2015 (12)

A proposito, si tratta di immagini tratte da lungometraggi come Totoro, Porco rosso, Si alza il vento, Il castello errante di Howl, La città incantata, Laputa, Princess Mononoke, Ponyo sulla scogliera, Kiki, Arrietty, o da serie televisive come Heidi, Anna dai capelli rossi, Conan, ecc.

Una quindicina di queste sono presentate con studiata asimmetria su una parete dipinta a strisce azzurre, bianche e decorazioni di foglie gialle, come in una stanza d’infanzia, uno dei temi cardine di Miyazaki, in forma di piccoli quadri, tondi o rettangolari, quasi “xenia” pompeiani.

Solo che non si tratta dei doni ospitali e beneauguranti di nature morte tipiche dell’antichità, ma di ritratti di personaggi perfettamente incorniciati come foto di familiari che mescolano esseri umani a esseri fantastici, i kami, ancora una volta nel pieno rispetto della tradizione nipponica che non vuole la separazione netta fra mito e realtà storica tipica dell’occidente moderno.[6]Arianna Gallo, Anime, 2015 (9)Arianna Gallo, Anime, 2015 (6)Arianna Gallo, Anime, 2015 (7)Arianna Gallo, Anime, 2015 (8)

Dunque sono occhi benevoli su chi sta guardando quelli di queste piccole divinità domestiche, protettrici dell’infanzia passata e di quella che ancora ci vive dentro, inclusi gli esseri in apparenza più tenebrosi come la maschera con la mano nera del “Senza volto” della Città incantata, poiché in Miyazaki non c’è alcun manicheismo, anzi ciò che in apparenza è ombra può contenere la luce della purezza, e anche chi commette azioni sbagliate non è mai banalmente malvagio: i pirati di numerosi film sono furfanti e allo stesso tempo eroi e, in generale, sono anime complesse e in cammino quelle di questo grandissimo autore, tanto che spesso necessitano del volo come condizione vitale e mezzo di comunicazione fra mondi paralleli (terrestre/celeste, interiore/esteriore).Arianna Gallo, Anime, 2015 (10)Arianna Gallo, Anime, 2015 (11)Arianna Gallo, Anime, 2015 (15)

Del resto in Giappone la bellezza va scoperta, “è iniziatica, la si merita, è il premio d’una lunga e talvolta penosa ricerca, è finale intuizione, possesso geloso. Il bello ch’è bello subito ha già in sé una vena di volgarità.”[7]

Infatti è nell’intimo delle case che spesso si rivela questa bellezza (si pensi alla nicchia riservata all’ospite detta toko no ma), con la cura infinitesimale del dettaglio, del sentimento sussurrato, come in tanti capolavori esistenziali di Kurosawa o dell’ultimo immenso Ozu.Arianna Gallo, Anime, 2015 (13)Arianna Gallo, Anime, 2015 (14)Arianna Gallo, Anime, 2015 (16)

La bellezza giapponese per essere piena ha bisogno di ombra e non della violenza della luce diretta: Tanizaki ha scritto un saggio significativo sulla magia che l’ombra genera nella fantasia giapponese, dall’architettura esterna, i tetti delle case ad esempio, al trucco degli attori sulle scene teatrali, sino alle pieghe dei kimono femminili: “non nella cosa in sé, ma nei gradi d’ombra, e nei prodotti del chiaroscuro, risiede la beltà.”[8]

Ed ecco apparire sull’angolo opposto alla parete coi ritratti altri personaggi provenienti dall’ombra, i simpatici “nerini del buio” di Totoro, peraltro creati dalla Gallo con una disposizione delle tessere che richiama e omaggia gli amici del gruppo CaCO3, mentre di fronte, su un albero dipinto, si trovano i “kodama”, gli spiriti della foresta di Princess Mononoke, che al buio si illuminano essendo fatti di tessere fotoluminescenti. Ponte e contrasto fra queste due immagini notturne, poiché giocato su toni più chiari, è il ritratto gioioso e saltellante di Totoro, altro kami o spirito della natura dall’aspetto grottesco, la cui presenza proteggerà chiunque vorrà accompagnarsi al suo vento buono per iniziare un viaggio nuovo.Arianna Gallo, Anime, 2015 (28)Arianna Gallo, Anime, 2015 (26)Arianna Gallo, Anime, 2015 (19)Arianna Gallo, Anime, 2015 (30)

Mentre leggerete queste parole l’installazione nel laboratorio Koko Mosaico sarà da tempo stata smontata. Tale cancellazione, inserita in questa esperienza, riporta al significato buddhista, originale e sprezzante verso le “immagini del mondo fluttuante” ovvero l’ukiyo-e tanto caro all’occidente del XIX secolo: non lasciarsi travolgere dai mille rivoli del divenire quotidiano che passa, dai suoi piaceri effimeri e dagli oggetti che lo contornano.[9] Neanche la bellezza permane, forse il suo ricordo in chi resta per un po’ prima del grande volo.

Narra un apologo zen che un uomo inseguito da una tigre si gettò in un precipizio, ma si salvò aggrappandosi a una radice che spuntava dalla terra. Nel frattempo la bestia era sopraggiunta affamata, mentre sotto lo attendeva un’altra tigre ugualmente pronta a ucciderlo. Non solo: due topi iniziarono a rodere la radice che ancora per poco lo teneva in vita. Eppure, proprio in quel momento, l’uomo si accorse di avere a portata di mano una fragola. Ebbene, quella fragola era dolcissima.

kokomosaico.com

Arianna Gallo, Anime, 2015 (25)Arianna Gallo, Anime, 2015 (23)

 

Note:

[1] “Il termine stesso di manga, che identifica oggi i fumetti e i cartoni giapponesi, è di difficile traduzione: l’ideogramma man, che definisce una cosa “priva di seguito”, “frammentaria”, “confusa” o “destrutturata”, rimanda a un’idea di totale spontaneità, di fermento anarchico, che si coniuga con il ga, “il disegno”.” Jocelyn Bouquillard, Hokusai Manga, Milano 2007, pp. 9-10. In questo senso risulta ancora più interessante, quasi un ossimoro giocoso e insieme un’iperbole etimologica, il lavoro in tessere di Arianna Gallo, che in Lens usa la frammentarietà duratura del mosaico per ricreare un manga, il cui etimo rimanda al frammento cartaceo precario, in questo caso riproducendo un frammento di una ragazza che sta per far esplodere una bomba a mano, che ridurrà tutto in frammenti.

[2] In particolare fa parte delle collezioni del CIDM – Centro Internazionale di Documentazione sul Mosaico, sezione del Mar – Museo d’Arte della città di Ravenna.

[3] “There are examples of decorative art produced with a clear understanding of the nature and function of the architecture itself.” Tsugiyoshi Doi, Momoyama Decorative Painting, New York 1977, p.26.

[4] “Durante il mio soggiorno sono stato colpito dal fatto che l’artigiano giapponese sega o pialla in senso inverso rispetto al nostro: da lontano verso il vicino, dall’oggetto verso il soggetto.”, Claude Lévi-Strauss, L’altra faccia della luna. Scritti sul Giappone, Milano 2015, pp.86-87.

[5] Claude Lévi-Strauss, op. cit. p.44.

[6] Ancora una volta, l’esperienza vissuta da Lévi-Strauss è estremamente chiarificatrice: “Mai mi sono sentito così vicino a un passato lontano come nelle piccole isole Ryūkyū, tra quei boschetti, quelle rocce, quelle grotte, quei pozzi naturali e quelle fonti considerati come manifestazioni del sacro. (…) Per gli abitanti, questi eventi non si sono svolti in un tempo mitico. Sono di ieri, sono di oggi, e anche di domani, poiché gli dèi che discesero qui ritornano ogni anno e, lungo tutta l’estensione dell’isola, riti e siti sacri inverano la loro presenza reale.” Claude Lévi-Strauss, op. cit., pp.187-188.

[7] Fosco Maraini, Ore giapponesi, Milano 2000, p.39.

[8] Jun’Ichirō Tanizaki, Libro d’ombra, Milano 2015, p.64.

[9] Gian Carlo Calza, Giappone Potere e Splendore 1568/1868, Milano 2009, pp.22-23.

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Cyril Pedrosa, Portugal, 2011 (ed. italiana 2012)

Cyril Pedrosa, Portugal, 2011 (ed. italiana 2012)

…perché capitano i momenti bui nella vita, eccome, periodi interi di nulla che inesorabile divora da dentro anche ciò che di buono è fuori e non puoi opporti, ti lasci scivolare in quotidianità eguali “underneath a sky that’s ever falling down, down, down/ ever falling down”, per dirla con Brian Eno.

Sì, la vita può portare a disaffezionarci a lei stessa. Si lavora per sopravvivere facendo altro da ciò che si vorrebbe o potrebbe, insomma ci si spegne più o meno consapevolmente e si scaccia anche l’amore che ci è accanto dai giorni più felici e che prova in tutti i modi a farci reagire.

Cyril Pedrosa, Portugal, 2011 (ed. italiana 2012)

Cyril Pedrosa, Portugal, 2011 (ed. italiana 2012)

Questo stato di cose che forse più di qualche lettore avrà provato (i tecnici odierni lo definirebbero depressione, più bella la parola antica malinconia o melancolia) è esattamente ciò che accade a Simon Muchat nella prima parte di quel viaggio straordinario in forma di graphic novel che è Portugal di Cyril Pedrosa.

Dico subito che è libro da avere fra i più preziosi nella propria biblioteca non solo per cosa ma anche per come è narrato (e ottimo pure il lavoro di riproduzione dell’editore Bao Publishing), per i disegni accuratissimi, ad esempio, da godere sin nei particolari come i colori del resto, che cambiano secondo le emozioni e i ricordi e i percorsi inattesi di questo cammino lungo 260 pagine circa, con l’unica delusione che alla fine finiscono.

Cyril Pedrosa, Portugal, 2011 (ed. italiana 2012)

Cyril Pedrosa, Portugal, 2011 (ed. italiana 2012)

Sicché nella seconda e terza parte del racconto si assiste a un recupero progressivo del senso dell’esistere che è tale solo se si riescono a riprendere le relazioni fra il circostante e la nostra interiorità (inclusa la storia della propria famiglia, ignorata o negata con fastidio per anni), talvolta grazie alla riscoperta inedita delle proprie radici, portoghesi nel caso del protagonista, radici che riallacciano un passato remoto e sconosciuto al futuro, salvando il presente altrimenti perduto.

Storia dunque di tempo ritrovato, raggiunto.

E ci vogliono istinto, coraggio, ma anche fortuna quando si è nella palude per lasciarsi trovare e prendere dalla corda che tirando può ridarci a noi stessi. Sempre che la vita getti quella benedetta fune fatta di affetti legati dalla voce: “Non arrenderti. Mai”.

Cyril Pedrosa, Portugal, 2011 (ed. italiana 2012)

Cyril Pedrosa, Portugal, 2011 (ed. italiana 2012)

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