Il grande ruolo che ha oggi la fotografia, da un punto di vista comunicativo, è quello di rallentare la velocizzazione di processi di lettura dell’immagine. Rappresenta uno spazio di osservazione della realtà, o di un analogo della realtà (la fotografia è sempre un analogo della realtà), che ci permette ancora di vedere le cose. Diversamente al cinema e alla televisione la percezione dell’immagine è diventata talmente veloce che non vediamo più niente. È come riuscire, una volta tanto, a leggere un articolo di giornale senza che qualcuno ci volti in continuazione le pagine. È una forma di lentezza dello sguardo che trovo estremamente importante, oggi, considerato il processo di accelerazione di tipo tecnologico e percettivo che è avvenuto negli ultimi anni. (…)
La macchina fotografica sostanzialmente funziona come il nostro occhio: se c’è molto buio, noi non ce ne accorgiamo ma le nostre pupille si dilatano per far arrivare più luce alla retina; al contrario, se c’è molto sole la pupilla si stringe, se il sole ci abbaglia addirittura noi tendiamo a chiudere gli occhi. (…) I due meccanismi sui quali è possibile agire per regolare l’equilibrio della luce – e teniamo presente che la parola fotografia significa scrittura con la luce – sono il diaframma e il tempo di posa. (…)
Tra quello che si vede nella realtà e ciò che appare in una fotografia c’è sempre uno scarto. Intanto c’è una variazione di scala, la differenza di proporzione è uno dei dati fondamentali. (…) Altre differenze riguardano il materiale utilizzato: la fotografia non è tridimensionale, i colori che vediamo in essa non sono quelli naturali. Esistono insomma molti elementi di scrittura, interni alla fotografia, che possono condurre a esiti scoraggianti e magari farci dire “non è venuta come volevo”. Dovremmo piuttosto dire: “Non è venuta come vedevo”. È chiaro che “farla venire come vediamo” implica innanzitutto un processo di avvicinamento, di approssimazione. (…) È questa la direzione, non la fotocopia della realtà.
(…) chi fa fotografia lavora con un oggetto opaco, perché l’immagine si forma e si rivela al buio, ma utilizza materiali trasparenti, come gli obiettivi, come la pellicola. Questo connubio tra il massimo dell’opacità e il massimo della trasparenza determina una particolare percezione della realtà. Allora l’esito finale che vogliamo raggiungere non è tanto quello di fare fotografie che denotano ancora una volta la trasparenza, ma eventualmente quello di togliere tutta la trasparenza che c’è tra noi e il mondo, sostanzialmente per arrivare a rivederlo.
(…) la scelta dell’inquadratura è un lavoro profondo sul sistema di rappresentazione, sulla scoperta di una realtà che è presente all’interno della realtà.
(…) Normalmente tendo ad avere, nelle mie fotografie, delle zone molto compatte senza grandi scarti di illuminazione. Sono convinto che la fotografia sia una rappresentazione attraverso la quale si mettono in evidenza, si mettono in luce le cose. Consiste nel dare luce alle cose. La fotografia essenzialmente è scrivere con la luce, quindi una delle cose essenziali è imparare a lavorare con la luce, avere sensibilità nei confronti della luce.
(…) quando dico sensibilità alla luce, non parlo solo di sensibilità nel senso di sapere le zone che devi fare in ombra o non in ombra. Ma proprio di una risposta al tuo interno, al momento in cui tu stai fotografando, alla luce che c’è in quell’attimo.
(…) Devi fare analogie spaziali, provare le inquadrature, insomma lavorare; vi ricordo che fare il fotografo è percorrere il mondo, un lavoro. Un lavoro complesso, ma anche più divertente, comunque più vicino alla ricerca, nel senso globale del termine.
Luigi Ghirri (1943-1992), dalle Lezioni di Fotografia tenute a Reggio Emilia fra il 1989 e il 1990, ora pubblicate da Quodlibet Compagnia Extra, Macerata, 2010)
imprescindibile un approfondimento sui suoi scritti raccolti in “niente di antico sotto il sole”. Si trova nella biblioteca digitale Panizzi Reggio Emilia, altamente consigliato….
Lorenzo
Grazie del suggerimento! a presto, luca m.