E la vita continua/ anche senza di noi/ che siamo lontani ormai/ da tutte quelle situazioni che ci univano/ da tutte quelle piccole emozioni che bastavano, Vasco Rossi, Anima fragile, 1980
Vi è mai capitato di pensare che quella volta, se aveste preso un’altra direzione, fatto un’altra scelta, forse la vostra vita sarebbe cambiata, in meglio o in peggio chissà, comunque sarebbe diversa?
Del resto ogni scelta implica una rinuncia, sono possibilità che ci precludiamo in forza di ragionamenti o spinti dall’emotività che assai più spesso di quanto non riconosciamo condiziona, se non guida costantemente, i nostri passi.
Ma è poi vero che possiamo scegliere del tutto liberamente? Non sono qui a fare una lezione sul libero arbitrio, ci mancherebbe, ma ognuno di noi è vincolato da se stesso, dal proprio passato che ha una parte non piccola nel continuare a formare il nostro carattere, dunque acuendo o meno la nostra capacità di rispondere in determinati modi, talvolta anche prevedibili, ai bivi che la vita ci pone dinanzi. Certo, mica vero sempre. Sempre si fa in tempo a sparigliare le carte, a fregarsene di orgoglio e calcoli e compagnia bella. Per fortuna. O la vita sarebbe un déjà vu inutile.
E la vita è qualcosa di delicato, fragile, quanto più ci fa male più si chiarisce la visione. Lo hanno capito (o sempre saputo) i tre struggenti protagonisti di Cinquemila chilometri al secondo, gioiello del 2010 di Manuele Fior, giustamente libro dell’anno ad Angoulême 2011.
Piero e Nicola, due adolescenti, amici per la pelle. Nel condominio dove abitano arriva Lucia, la timida magra Lucia, con sua madre, una donna ingrassata separata e dal pollice verde.
Inutile dire che le vite dei tre ragazzi si incroceranno sulla strada dell’amore, dell’innamorarsi reciproco e della gelosia conseguente sullo sfondo di un paesino della provincia italiana che, sbaglierò, ma a me ha ricordato Cervia sul finire degli anni’70 o inizio ’80. Ma queste supposizioni non sono importanti, perché questa vicenda è ovunque valida e attuale.
Con le dovute differenze di trama, l’atmosfera di certe scene riporta alla mente C’eravamo tanto amati di Scola, capolavoro denso di battute folgoranti che valgono il pur tutto stupendo film: “Vincerà l’amicizia o l’amore? Sceglieremo di essere onesti o felici?”.
Dopo la fine della storia fra Piero e Lucia, lei va a studiare in Norvegia, lui comincia la sua carriera di archeologo fra le sabbie dell’Egitto. Nicola appartiene al passato.
Entrambi, come si dice, si rifanno una vita: lei con Sven, un norvegese, lui con Cinzia un’italiana. E i loro percorsi corrono paralleli, al punto che più o meno nello stesso tempo aspettano un bimbo coi rispettivi compagni, solo che Lucia abbandonerà Sven divenuto così ostile a lei così dolce in gravidanza. Tornerà in Italia, da sua madre, dove crescerà sua figlia diventando insegnante di lettere in un istituto tecnico e come sua madre ingrassando oltre misura e oltre misura intristendosi.
Piero riuscirà a diventare un nome dell’egittologia e una sera, dopo anni, tornando al paese, eccolo al tavolo di un bar di un barista sgarbato o solo stanco, con l’unica voglia di chiudere bottega.
All’altro capo del tavolo Lucia. E che risate quei due ragazzi invecchiati, ma per una sera ancora così freschi e leggeri. Bellissimi, perché l’amore sembra non vedere i chili in eccesso di lei, la stempiatura di lui, le rughe, le borse sotto gli occhi e anche le rispettive amarezze, delusioni, dispiaceri e solitudini paiono svanire alla luce dell’altro. Tanto da riaccendersi la voglia dell’altro, il desiderio del corpo, che importa se nel bagno del bar. Invece importa. Perché è un attimo e tutto l’incantesimo, la sospensione temporale che aveva annullato il loro essersi persi, si rompe e tutto appare più buio, quasi squallido, impossibile continuare. La vita, quella loro vita, è andata via. È stata.
E così a volte ci aggrappiamo ai ricordi anche con alcuni amici per non dover ammettere che è finita, che abbiamo più passato che futuro davanti, anche se lo si sa benissimo ma non lo si dice per non essere sommersi dal dolore della perdita che ne conseguirebbe, trovarsi privi di una parte di vita importante sui cui abbiamo costruito la nostra identità, il nostro essere oggi.
Una passeggiata lungo la strada lucida di pioggia e la spiaggia di tanti anni prima ed ecco Lucia a casa. Piero sale sul taxi e via. Si volta, però. E vede. Vede dal portone uscire Nicola, anch’egli imbolsito, accogliere Lucia. Qualcosa si è salvato o doveva, poteva andare tutto diversamente? Sono domande cui ognuno risponderà ai propri giorni in fila fra dieci, venti o più anni, con pietà, c’è da augurarsi.
Ad alcune già ora chi è più che trentenne può cominciare a rispondere. Non prima di essersi commosso nelle ultime pagine del libro, in cui con un flashback l’autore ci fa tornare all’adolescenza dei tre ragazzi, dove i toni stessi dell’acquarello tornano solari (poteva esserci un linguaggio più delicato per raccontare questa storia? Si è catturati dalla magia di Fior proprio grazie al suo saper annegare i nostri occhi nei suoi colori, che a nuoto ci conducono nel tempo pagina dopo pagina, personaggio per personaggio, paesaggio dopo paesaggio), lasciandosi anni luce alle spalle i blu viola lividi del presente delle pagine appena precedenti e si chiude così, sulle note di una canzone di cui non sapremo mai il titolo né l’autore, ma che ha fatto da colonna sonora alla prima volta di Piero e Lucia e non li ha più lasciati. Si chiude così: appena prima di fare l’amore.
Belle idée de présenter cette bande dessinée ! En France, la bande dessinée a énormément de succès ; cet album est traduit en français et j’ai beaucoup apprécié les couleurs, la poésie qui en émane et le récit qui nous emmène
A bientot Luca
Grazie, cara Renée, come sempre sei gentilissima. Hai ragione: in Francia il fumetto è considerata una vera arte, infatti Manuele Fior da tempo vive e lavora a Parigi. Grazie ancora delle tue parole, luca