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Domani, sabato 18 maggio alle ore 18 presso lo spazio espositivo Pallavicini 22 Art Gallery in viale Giorgio Pallavicini 22 a Ravenna è in programma  la presentazione del nuovo libro di Ilaria Cerioli in dialogo con Luana Vacchi e Luca Maggio.”

RITA DAGLI OCCHI NERI” ed. AFFIORI, Roma 2024

Una storia di vita e d’amore nella Romagna dell’Ottocento. Protagonista è Enrica Barbieri, detta Rita, vissuta a cavallo di due secoli nella zona della campagna ravennate e famosa alle cronache del tempo per essere stata la prima donna assolta, grazie al codice Zanardelli da poco entrato in vigore, dall’accusa di omicidio dell’amante Michele Minguzzi. Primo caso di delitto d’onore in cui la vittima è un uomo. Rita, con la sua intelligenza e capacità seduttiva, riesce a volgere a proprio favore un processo dove sembrava scontata la sua condanna, diventando a sua volta testimone involontaria di una serie di avvenimenti storici che porteranno l’Italia alle soglie della Prima guerra mondiale.

Evento promosso e organizzato da CARP Associazione di Promozione Sociale in collaborazione con lo spazio espositivo Pallavicini22 Art Gallery e con l’Archivio Collezione Ghigi-Pagnani.

Ingresso libero fino alla capienza della sala.

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Nel 1993 Sebastião Salgado inizia il suo viaggio fotografico, fisico ed esistenziale nella galassia delle migrazioni. In sei anni il reporter brasiliano ha percorso quattro continenti con opere che catturano partenze e approdi, campi profughi dove milioni di persone vivono un destino incerto. Da allora la mappa del mondo appare cambiata, ma l’esodo di intere popolazioni è quanto mai attuale e le condizioni di profughi o migranti rappresentano uno scenario che assume dimensioni sempre più globali.
In occasione del Festival delle culture, le fotografie di Salgado giungono dal 22 marzo al 2 giugno 2024 al MAR Museo d’Arte della città di Ravenna in una grande mostra organizzata dal Comune di Ravenna -Assessorato alla Cultura e Mosaico e Assessorato all’ Immigrazione, Politiche e Cultura di Genere –  in collaborazione con Contrasto e grazie al contributo della Regione Emilia – Romagna,  Fondazione del Monte di Bologna e RavennaFondazione Cittalia Anci.
Attraverso 180 fotografie la mostra Exodus – Umanità in cammino, a cura da Lélia Wanick Salgado, si compone di varie sezioni a carattere geo-politico.
La prima sezione, intitolata Migranti e profughi: l’istinto di sopravvivenza, tratta in particolar modo le motivazioni che tristemente accomunano i profughi: la povertà e la violenza, il sogno di una vita migliore, la speranza.
La seconda sezione, La tragedia africana: un continente alla deriva, si concentra sul trauma della sofferenza e disperazione di popoli profondamente segnati dalla povertà, dalla fame, dalla corruzione, dal dispotismo e dalla guerra nonostante l’Africa sia un continente con una storia importante per l’umanità, in grande fermento, ricco di energie e vitalità, oltre che di materie prime e ricchezze naturali.
La terza sezione, L’America latina: esodo ruraledisordine urbano, racconta una parte del mondo segnata dalla migrazione di decine di milioni di contadini, spinti dalla povertà, verso le aree urbane come Città del Messico e San Paolo, circondate da baraccopoli, dove persino la vita privilegiata è assediata dalla violenza.
La sezione Asia: il nuovo volto urbano del mondo si concentra sull’esodo di massa dalla povertà rurale alla creazione di megalopoli in cui i migranti vivono in condizioni precarie, pur credendo di aver fatto un passo verso una vita migliore.
Chiude la mostra una sala dedicata ai ritratti di bambini, rappresentativi di altre decine di milioni che si possono incontrare nelle baraccopoli, nei campi profughi e negli insediamenti rurali di America Latina, Africa, Asia ed Europa. La particolarità di questi ritratti risiede nel fatto che hanno scelto di essere fotografati, scegliendo loro la posa da assumere davanti alla macchina fotografica del grande fotoreporter, compiendo così un fiero atto di autodeterminazione di quelle che sono le vittime principali dei fenomeni migratori, senza alcun controllo sul proprio destino.
La mostra, realizzata in collaborazione con Contrasto, che da anni si occupa di promuovere il lavoro di Sebastião Salgado in Italia, fa parte degli eventi del Festival delle Culture in programma a Ravenna dal 12 marzo al 20 luglio 2024 e simbolicamente inaugura il 21 marzo, Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale; sarà accompagnata da workshop, conferenze e da un consistente percorso laboratoriale rivolto alle scuole e alle famiglie.

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Pubblico di seguito il testo critico per la personale di Federico Guerri Segni e matrici che ho avuto il piacere di curare presso la galleria Pallavicini22 di Ravenna dove resterà aperta dal 9 al 24 marzo 2024. Si inaugura domani alle 18.30, vi aspettiamo!

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Federico Guerri, Il vento si prepara, 2017, grafite, acquarello e pastello su tela, cm190x170

Federico Guerri. Segni e matrici

di Luca Maggio

“L’assenza comprime le cose, le penetra nella sua unità segreta.” Stéphane Mallarmé

Una pioggia babelica. Questa l’immagine residua nella mia mente dopo aver visitato lo studio di Federico Guerri. E, tra fitta goccia e fitta goccia, fra graffio-segno e graffio-segno, l’assenza fatta di colore. Nero e bianco o, nei tempi ultimi, in tinture differenti sulle superfici sue. Assenza che tale non è, sostanziando di sé il piccolo segmento o bastoncino o micro-rettangolo – cifra sua peculiare – che tenta di precisarla e, a sua volta, ricevendo perimetro ovvero forma e direzione dal segno stesso. Si completano a vicenda dando vita e estensione a ciò che dinanzi appare: porzioni di mondo metamorfiche e rizomatiche, quasi autogenesi potenzialmente infinite, architetture d’interni o esterne, figurazioni di appartamenti e singole stanze o visioni urbane o, anche, selvatiche, rovine romantiche e futuribili, di un futuro già “dimenticato a memoria”. Qui, nemmeno l’ombra dell’essere umano che, pure, deve aver realizzato abitato usato strutture così concepite.

Federico Guerri, Città sconosciuta, 2015 grafite acquarello e pastello su tela cm130x170

Federico Guerri, Sommerso, 2017, grafite, grafite, pastello e acquarello su tela, cm190x170

Cosa è la memoria? Di cosa è fatta la traccia che comunemente chiamiamo ricordo? Un engramma, qualcosa di abbastanza stabile che si basa su un accaduto o una costruzione ex novo o variazione a partire da ciò che crediamo ci sia stato? Forse, e più spesso di quanto si creda, la somma delle due possibilità.

Il demiurgo Guerri parte dal caos, dalla macchia informale su tela grezza non lavata e idrorepellente. Qualcosa aderisce, si attacca, dichiara il suo desiderio di essere. Inizia così, oculata, una definizione con pastello a cera bianca che conseguentemente vedrà apparire i segni-mattoncini-tessere-cellule che sono anche matrice di questi universi epidermici e assieme stratificati in complessi spazio-temporali doppiamente sovrapposti: c’è oggetto sopra altro oggetto, ci sono intersezioni sopra intersezioni, prospettive multidirezionali, ribaltamenti, sedie, mura, edifici, ponti, strade, vegetazioni rampicanti e porte, finestre, mobili che si interrompono, cambiano, altro divengono. E le memorie ci sono, unitamente a suggestioni volute o accidentali di mappe topografiche, vedute a volo d’uccello che corrono da Jacopo de’ Barbari a Hiroshige e viceversa (gli ordinamenti cronologici nella mente creativa perdono ogni senso), i geoglifici Nazca e le scenografie ottiche in assenza di esseri umani di Gabriele Basilico, c’è Piranesi e la malinconia pre e post romantica di questi fantasmi futuri di vestigia immaginate, ci sono le radiografie o meglio le rayografie di sistemi linfatici e sanguigni e neuronali di città e manufatti e la memoria, infine, del libro primordiale, delle incisioni rupestri sul nero dell’ardesia (roccia-metafora del costruire e dell’apprendere umani), “disegni fossili”, li chiama lo stesso Guerri, assetati di luce.

Federico Guerri, Pagine per appunti notturni, 2019, ardesie incise e oliate, cm50x70x32

Filo rosso di ciascun manufatto resta lo sfondo che opacizza e confonde una chiarezza di linee alfine annunciata ma non condotta alle conseguenze estreme. Un equilibrio risulta ma precario fra la chiazza sottostante e l’intrico all’apparenza ordinato su essa anteposto, ergo un bilanciamento fra il conatus spinoziano ovvero il desiderio insopprimibile e essenziale di ogni cosa a “perseverare nel proprio essere” e la resistenza a questo stesso desiderio che “è, almeno nell’arte, l’elemento decisivo – la sua grazia.” (G. Agamben, Creazione e anarchia, Vicenza 2021, p. 52)

Per certo, contano nel nostro artista anche le origini tipografiche e famigliari e la formazione in anni accademici sulla scultura, dove ogni grammo di materia pesa fra le mani dell’artefice.

Federico Guerri, Paesaggio, 2023, grafite e acquarello su tela cm 120×110

Federico Guerri, Paesaggio, 2023, grafite e acquarello su tela cm 120×110

Col tempo, nel corpo del suo fare, inscindibile è divenuto il colore, il nero anzitutto, dalla macchina decorativa e costitutiva soprastante, addensamento di ricordanze dissimili quanto consonanti, congiunte simultaneamente in iconografie costituite da pieni-vuoti attraverso la moltiplicazione del segmento-mattoncino oblungo a formare progetti edificatori imponenti, sebbene cavi come ossa di uccelli traversate dall’aria, pronte a spiccare in nuove mutazioni senza soluzione di continuità, fluide, come riportano (in C. Nooteboom, Verso Santiago. Digressioni sulle strade di Spagna, Milano 2023, p. 365) i versi dell’arabo andaluso Ibn Zamrak (1333 – 1393) sul bordo della vasca della fontana nel Patio dei Leoni all’Alhambra, scrittura-tessitura che emerge e si confonde al contempo con l’acqua che la lambisce: “Il solido e il liquido sono così vicini/ che non si sa quale dei due scorra,/no, non è acqua, quella che scorre verso i leoni/ è una nuvola di movimento fluido…”. Come Guerri fa accadere nelle sue geografie ipotetiche.

Federico Guerri, Camera, 2014, grafite, pastello e acquerello su tela, cm 170×150

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Da sabato 20 gennaio 2024, presso la Fondazione Sabe per l’arte è aperta In suspensus, mostra di Carlo Benvenuto, Enrico Cattaneo e Elena Modorati, a cura della storica dell’arte e curatrice Angela Madesani, con il patrocinio del Comune di Ravenna e del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Bologna – Campus di Ravenna e realizzata in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Ravenna. Lo spazio espositivo, nato nel 2021 quale punto di riferimento per la promozione e la diffusione dell’arte contemporanea, con una particolare attenzione alla scultura, nel 2024 si apre alla fotografia esplorando le sue relazioni con la ricerca plastica, il paesaggio e lo spazio, fisico e mentale.

Carlo Benvenuto, Senza titolo, 2023, c-print, 42 x 60 cm, courtesy Galleria Mazzoli Modena – Berlino

In suspensus allude al senso di sospensione dal tempo, dallo spazio e dalle relazioni quotidiane che trasformano gli oggetti comuni protagonisti delle opere in mostra. Il progetto espositivo ospita le opere di tre artisti, di due diverse generazioni, che si esprimono con differenti linguaggi: Elena Modorati (1969), Carlo Benvenuto (1966) ed Enrico Cattaneo (1933-2019). Il tema dei dialoghi è lo still life nell’accezione propria del termine. In mostra, il concetto della scultura da un punto di vista prettamente installativo viene posto in relazione con opere fotografiche. Il lavoro di Elena Modorati attiva uno spostamento nella relazione fra oggetto preesistente, trovato, ed elemento prodotto. Tale relazione genera, infatti, un cortocircuito percettivo, per cui diventa impossibile stabilire quale dei due poli istituisca il maggiore livello di ambiguità e di allusività. Per Carlo Benvenuto la fotografia è indice, traccia del reale proposto di volta in volta in scala 1:1 e in tal senso vanno lette anche le sue sculture di vetro che rappresentano oggetti della realtà. Di Enrico Cattaneo sono in mostra alcune opere della serie Morandiane, lavorate dall’artista in fase di stampa con un evidente richiamo compositivo e poetico al pittore bolognese Giorgio Morandi in cui è evidente la sospensione del tempo.

Enrico Cattaneo, Morandiana, 2002, Archivio fotografico Enrico Cattaneo, Milano

La mostra, che proseguirà fino al 7 aprile 2024, sarà accompagnata da un catalogo edito da Danilo Montanari e arricchita da altri eventi organizzati nel periodo di apertura della mostra.

Elena Modorati, Fund, 2014, cera e peltro, in teca 28,5 x 45 x 20 cm

In suspensus. Carlo BenvenutoEnrico Cattaneo, Elena Modorati
A cura di Angela Madesani

Sede Fondazione Sabe per l’arte | via Giovanni Pascoli 31, Ravenna
Periodo 20 gennaio – 7 aprile 2024
Inaugurazione sabato 20 gennaio 2024, ore 11
Orari giovedì, venerdì, sabato e domenica ore 16-19
Ingresso libero 
Informazioni:
info@sabeperlarte.org | www.sabeperlarte.org
Ufficio stampa
Irene Guzman | press@sabeperlarte.org | +39 349 1250956

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Domenica 4 febbraio 2024 alle ore 17:30 con ingresso libero presso lo spazio espositivo Pallavicini22 Art Gallery in Viale Giorgio Pallavicini 22 a Ravenna, si inaugura la personale di Roberto Pagnani “Amnesie (2015-2023)” a cura di Claudia Agrioli e con testi critici di Francesco Bianchini e Luca Maggio a catalogo.

La mostra rimarrà allestita fino a mercoledì 7 febbraio e le visite avverranno su prenotazione all’indirizzo mail pallavicini22.ravenna@gmail.com.

L’eventopromosso e organizzato da CARP Associazione di Promozione Sociale in collaborazione con lo Spazio Espositivo PALLAVICINI 22 Art Gallery econ l’Archivio Collezione Ghigi-Pagnani, si avvale del patrocinio dell’ Assemblea legislativa Regione Emilia-Romagna del Comune di Ravenna Assessorato alla Cultura, dell’Accademia di Belle Arti di Ravenna e dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico centro-settentrionale.

La mostra

Nell’opera dell’artista tecnicamente è celata più d’una sofisticazione pittorica, poiché Roberto Pagnani è pittore colto, coltivato da sedimenti antichi fatti propri sino a dimenticarsene: la più nota, l’astrazione informale del secondo dopoguerra.

L’acqua non si palesa negli ambienti marini di Pagnani. Si è spesso al di qua d’una duna che ne occulta la visione, la fuga, la vastità schiacciante quanto inutile per il discorso intimo che l’autore sta intrattenendo con sé stesso e con noi: si sa, si ha la sensazione certa che ci sia, dev’esserci lì a un passo. Ma non si vede.  Sono visioni le sue che partono da grumi di reale per rapirci in esse e farci fermare. Sospese fra certezza di aver già visto alcune cose e dubbio di non conoscerle affatto.

L’artista

Roberto Pagnani è nato a Bologna e vive a Ravenna, città in cui svolge la sua attività di artista.  Cresciuto in un contesto familiare dedito al mondo dell’arte da più generazioni, è stato a contatto diretto con opere dei maggiori protagonisti dell’ambiente culturale informale europeo. Espone in numerose manifestazioni e mostre sia in Italia che all’estero.

Tanti sono i critici e gli storici dell’arte che hanno scritto di lui tra i quali soprattutto Franco Bertoni, Beatrice Buscaroli, Luca Maggio, Michela Ongaretti, Aldo Savini, Serena Simoni e Claudio Spadoni.

Importanti sono anche le sue collaborazioni con il mondo del teatro e della musica quali, ad esempio, la realizzazione di scenografie o installazioni pittoriche per concerti.

Ha illustrato, inoltre, testi e pubblicazioni poetiche di Cetty Muscolino, Valerio Fabbri, Nevio Spadoni, Stefano Simoncelli ed Eugenio Vitali.

Opere sue sono presenti in numerose collezioni pubbliche e private, tra cui la Biblioteca F. Trisi di Lugo, la Sede dell’Autorità Portuale di Ravenna; l’Istituto di Cultura Italiana di Vilnius, la Sede dell’Assemblea Legislativa della Regione Emilia Romagna a Bologna, l’EEA (European Environment Agency) di Copenhagen, la Sede della Fondazione Cassa di Risparmio di Imola, il Museo della Marineria di Cesenatico.

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