Sovrimpressioni
di Luca Maggio
“Un gioco con problemi seri; questa è l’arte.” Kurt Schwitters
Cosa accomuna personalità, ovvero modus operandi, così differenti come le tre oggi qui riunite? L’accumulo di eredità più o meno in-consapevoli post novecentesche (incluso il loro rifiuto), che è via fruttuosa in quest’inizio di caos nuovo secolare a fare al di fuori dall’altrimenti palude inevitabile del già visto, riferito, citato: impossibile non richiamare una, anzi più tradizioni non tradizionali per fare (e fare di mano non solo di testa con la generosità dell’esperienza) qualcosa che sappia di personale: “arte solitaria di trascinar parole/ verso i doni di molte domande/ mentre all’estremo siamo circondati”[1].
Dunque costruire col sovrapporre, conglomerare, stratificare con la grazia del caso, del non stabilito a priori, Cage dixit, ma sapendo che se si è dentro la macchina creatifera, non si va da una parte qualsiasi, ché una non vale un’altra e alla fine le scelte fatte, per quanto credute automatiche, vanno cavalcate e non sviate, certo a sorprendere chi per primo le batte (in arte chiamato artista, si può ancora dire).
Ed ecco i nostri tre, sotto il segno d’una titolazione mutuata da Zanzotto, altro pezzo verbale buono per il Tempo nostro nuovo: “Difficile e violento è realmente cogliere/ i procedimenti di entrata e ritorni di questi eventi/ come la divinità e varietà delle chine/ e del dolce vuoto, delle beanze tra i dossi, / chine da sé e in sé sorgive con i loro intervuoti”[2].
Si propongono queste tre visioni, ChiariniLanzoniLuschi, da muro a muro, specchi involontariamente riflettenti parti particolari dell’altro negli scheletri o moduli architettonici e angolari filati da Silvia, profilati da Giovanni nei di-segni delle condutture elettriche o nei manufatti inverosimili di falegnameria che tornano in minuzia di legnetti da lego cesellati da Simone, e invitano anche a entrare in sé, in loro, in quel modo-mondo-mondi paralleli che l’artefare loro fa alterando il reale con altra realtà, di-la-tan-do-la, rendendo evidente ciò che la scienza ultima pare confermi (ma ben prima il Borges dei sentieri che si biforcano), il cosiddetto multiuniverso o teoria degli universi paralleli[3].
Così Silvia Chiarini veste in chiaro linee rette e curve, strutture, archisognature, lanci di prospettive, paesaggi in passaggi di colore e tecniche successive, cilindri, macchie, punte, finestre, accenni di, alberi, palmizi e pizzi floriformi, scacchiere e bestie sospese tra fluttuazioni metarinascimentali (da Paolo Uccello a Casorati, da De Chirico al cervo del Sant’Eustachio di Pisanello, il tempo in arte è sempre circolare, attuale) e cromie leggere, chimere vaghe d’eleganza soffiata a fresco da Masolino a Castiglione Olona, ma in visioni che appartengono all’oggi collettivo.
Mentre Giovanni Lanzoni ci prende in giro tutti, il ragazzo, includendosi, ignoto e consapevole, nel gioco. E lo fa malinconicamente come ogni degno Calvero del mestiere, inventandosi uno zoo pop unico, ritagliando teste, pittando a collage mura di carta come cartoline e cartoline come murales e tappeti kitsch, tanto tutto è superficie, inganno, accumulo di frammenti giustapposti, equilibri sghembi di piramidi di sedie e tavolini e asimmetrie volute, fili di bandierine colorate alla Calder (ma recisi a ben vedere), navi di folli, gallerie di ritratti in eco d’un Basquiat in miniatura, a ricordare quanto possa significare il disordine nel cosmo-vita quotidiano, ammesso che Lanzoni parli di quotidiano, saltimbanco dell’anima sua-nostra, lasciatelo divertire ché, amaramente, “gli uomini non dimandano/ più nulla dai poeti”[4].
Simone Luschi, invece, abbandona in apparenza le “sculture teste. Teste, non volti. Fisse ieratiche”[5], esposte sino al mese scorso a Fusignano, per andare in direzione altra. Eppure.
Effettivamente ne abbandona colori e disegni, le distrazioni insomma. Intatta è la via ieratica, anzi indagata in essenza: di quelle teste composte è come se avesse scelto le forme di singoli frammenti da cui partire, certo ora puliti, nudi e poveri in compensato, ragionamenti in chiarità di beige di strutture progressive minime, linee alla LeWitt nei lavori più piccoli e isolati o, in quelli più grandi, di Merzbau schwittersiani che, mentre paiono scivolare, si autogenerano da espansioni di solidi, come le teste generavano i complementi e i completamenti di se stesse, e possono essere abitati dalle strutture più piccole appoggiate dall’artefice in equilibri precarimpossibili quanto finissimi, a un passo dal cadere, come sulle scale, richiamo forse inconscio a Escher, che non portano a nulla, ma bastano a sé, bastano al sé.
E sono anche belle queste cose loro, belle sì, detto come un dato accessorio ma non insignificante: l’arte non ha bisogno di bellezza per essere, questo uno dei lasciti più liberatori del ‘900, essendo l’arte analisi consapevole (voluta, desiderata da chi la compie) e coagulata in epifania dell’oggetto più o meno rispondente all’intenzione. In tutto questo “la bellezza è un’opzione per l’arte e non una condizione necessaria. Ma non è un’opzione per la vita. È una condizione necessaria per la vita così come vorremmo viverla (…) è un valore (…), non semplicemente un valore tra gli altri, (…) ma uno dei valori che definiscono cosa significhi la vita umana nella sua completezza”[6].
Fra i ritagli e le attaccature di un Lanzoni, quelle maschere-omini, quella sua umanità, le cuciture d’una Chiarini a riannodare la superficie altra del quadro alla nostra sensibile (il filo è ponte, fragile, ma è), le archifatture d’angoli nascondigli di Luschi, improbabili e perciò possibili geometrie della mente, ci sei anche tu.
Ravenna, 24 e 28.V.2015
ascoltando Ravel (le Tzigane), Schlippenbach o chi gradite
[1] N. Cagnone, Il popolo delle cose, Milano 1998, p. 86.
[2] A. Zanzotto, da Avventure metamorfiche del feudo in Sovrimpressioni, Milano 2001, p.120.
[3] M.J.W. Hall, D.-A. Deckert, H.M. Wiseman, Quantum Phenomena Modeled by Interactions between Many Classical Worlds, in Physical Review X 4, 041013, October 23rd 2014.
[4] A. Palazzeschi, Lasciatemi divertire, in L’incendiario, Milano 1910, p.185.
[5] M. Fabbri, L’uomo ragno e l’esplosione del compensato, 2015.
[6] A. Danto, L’abuso della bellezza. Da Kant alla Brillo Box, Milano 2008 (ed. orig. Chicago 2003), p.37 e p.179.
SOVRIMPRESSIONI
a cura di Luca Maggio e Chiara Fuschini
Inaugurazione Sabato 30 Maggio ore 18.00
Galleria Ninapì via Pascoli 31 Ravenna
Dal 31 Maggio al 20 Giugno
Venerdì e Sabato dalle 17 alle 19
Per appuntamento 3471202754 – 3391706194
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