Orodè Deoro (Taranto, 1974): sei nato in Puglia, ma oggi vivi e lavori a Milano. Vorrei che raccontassi ai lettori il tuo percorso formativo e in particolare come sei giunto al mosaico.
Sono autodidatta. Da ragazzo ero convinto di essere un poeta o quantomeno uno scrittore. Avrei dato tutto per la scrittura. Nel frattempo coltivavo parallelamente la passione per il disegno ma non ho potuto frequentare il liceo artistico né l’accademia per rifiuto dei miei.
Successivamente mi sono iscritto a filosofia a Perugia, scegliendo di tenere nascosta la scrittura, ma ero un disadattato e al secondo anno abbandonai gli studi, i libri imposti erano fuori luogo e la passione dell’arte reclamava tutta la mia esistenza. In quel momento, avrei voluto studiare il mosaico, un interesse di cui non so nemmeno l’origine, ma non potevo permettermelo e così ho lavorato per quasi un anno in un cantiere edile. Alla fine di quest’ennesima esperienza, giurai a me stesso che non avrei più lavorato, non sapevo come avrei fatto, ma me lo giurai. La mia vita procedeva per eliminazione. Facevo ordine, pulizia.
Con i soldi messi da parte ho cercato un luogo adatto, una specie di bottega rinascimentale, un posto fuori dal mondo dove essere finalmente me stesso. Ho vissuto perlopiù a Perugia, a Roma e a Firenze, ospite di amici, e quando stavo per finire i soldi ho scoperto per mia fortuna la casa museo Vincent City, a Guagnano (LE). Era il settembre del 2000, in una campagna della provincia leccese c’era una masseria interamente rivestita di ceramica, in modo estroso, kitsch, abitata da un pittore istrione che da anni cercava un mosaicista “stile Gaudí”. Quando c’incontrammo, dopo aver visto alcuni miei disegni, disse che ero il mosaicista che attendeva. Per me era la grande occasione, la situazione era magica, lui avrebbe fatto costruire per me tutti i muri che volevo, mi avrebbe garantito tutti i materiali necessari, e nel frattempo potevo continuare le mie ricerche pittoriche, la scrittura, le letture senza essere disturbato: potevo finalmente dimostrare a me stesso che le sensazioni di una vita avevano un fondamento.
Così dopo un mese mi trasferii a Vincent City e dopo alcuni giorni mi ritrovai davanti al primo muro, di 4×3 metri, con in mano un paio di tenaglie da carpentiere e ai miei piedi due secchi, uno con un impasto di sabbia e cemento e l’altro pieno d’acqua con una spugna. Avevo 26 anni e quel giorno mi resi conto che avevo aggirato il sistema, e per la prima volta, contro tutti i pronostici, ero davanti al mio primo mosaico. Si trattava solo di passare dalla pittura da autodidatta al primo mosaico permanente. Questo pensiero mi faceva sorridere, mai niente di semplice per me. Tutti i miei errori o leggerezze sarebbero rimaste lì, in bella vista. Vincent City era già molto visitata, una media di 300/400 persone a settimana. Imparai così a creare in pubblico senza farmi disturbare. Anche questa era una novità. Che cosa sapevo in fondo di mosaico? Sapevo ch’era la tecnica che prendeva il posto della scrittura. Amavo Gaudí, m’intrigava Hundertwasser, ero attratto da alcuni reperti dell’arte precolombiana rivestiti con pietre preziose, ma il pensiero andò subito ai miei amati pittori, ai poeti, alla loro ribellione, alla loro passione.
Sin dall’inizio il mio desiderio più grande, anzi la mia necessità era di restare il più lontano possibile dal mosaico tradizionale, da quello bizantino per intenderci, e ancor di più volevo evitare come la peste i risultati industriali tipo Bisazza. M’imposi perciò delle regole: niente tessere quadrate e… creare le figure utilizzando il minor numero di tessere possibile. Le tessere le avrei incastrate come in una specie di puzzle tenuto insieme dalle fughe, che divennero le linee portanti del mio disegno. In tale ricerca non ho avuto maestri. Vincent, il creatore di Vincent City, non ha mai fatto un mosaico. Ho vissuto lì per tre anni, realizzando venti opere di medie e grandi dimensioni. L’opera più grande è la Piazzetta dello Zodiaco, di 60 mq, con lo zodiaco preso come pretesto per parlare della vita e della società. L’opera a cui sono più legato è invece Il Trionfo di Bacco, un mosaico su muro esterno, di 7,5×3,5 m, fatto con ceramica, gres, sassi, specchi e luci elettriche. Il mosaico prende spunto da un’opera omonima di Poussin, ma ha poi derive psichedeliche e kitsch. Nella scena del Trionfo ci sono i ritratti degli abitanti della casa museo. Tra questi, Vincent è Bacco sul carro. Io sono il centauro blu che traina il carro. Defilato dalla scena del Trionfo, sulla destra dell’opera, c’è mio fratello, Dario Dieci, anch’egli mosaicista.
L’avventura nella casa museo dopo tre anni finì, per via delle continue incomprensioni con Vincent. In seguito ho vissuto mezzo anno a Barcellona, per guardarmi meglio l’opera di Gaudí. Ma smetto di dire dei salti mortali che ho dovuto fare dopo, delle botteghe che mi hanno rifiutato perché snobbavano la ceramica o per la mancanza di titoli di studio, ecc…
Preferisco parlare dei successi di questi ultimi due anni. Nell’estate del 2013 ho la fortuna di incontrare a Lecce l’architetto e designer Fabio Novembre, che ha visto le opere a Vincent City e mi commissiona un mosaico enorme, su un muro esterno della sua casa studio a Milano. Ho realizzato per lui un Paradiso Terrestre, di 6x5m.
Nel 2014 ho partecipato con un Trittico in mosaico alla Triennale Design Museum, diretta da Beppe Finessi. Ho partecipato a due collettive internazionali sul mosaico contemporaneo a Ravenna: nel 2014, “Eccentrico Musivo”, a cura di Linda Kniffitz e Daniele Torcellini e nel 2015, “Opere dal mondo”, per Ravenna Mosaico. L’opera esposta in “Eccentrico Musivo”, è stata poi acquisita dal museo MAR, e fa ora parte della meravigliosa collezione. A inizio 2015 la gioia della prima copertina, quella del semestrale francese Mosaïque Magazine. In aprile ho inaugurato il mio atelier a Milano. A ottobre ho vinto la Targa d’oro del Premio Arte, nella sezione scultura, con uno dei miei mosaici.
Be’, complimenti davvero. A questo punto ti chiedo di parlare liberamente della tua idea di mosaico (con reminiscenze pop o post pop, si potrebbero forse citare Adami e Nespolo), dell’uso che fai di questo linguaggio e dei tuoi materiali, la scelta della ceramica ad esempio, delle linee così marcate tra una frammento e l’altro, quasi a sottolineare con un impatto visivo di sicuro effetto l’idea di scomposizione del soggetto nel momento stesso in cui l’immagine si compone, spesso fra l’altro in primi piani.
Con la ceramica fu amore a prima vista. Quando vidi Vincent City capii che le tonnellate di ceramiche a disposizione erano la mia “tavolozza” perfetta. Essendo un figurativo, interessato ai temi del volto e del corpo femminile, capii che potevo partire dai risultati raggiunti dai migliori operai di Gaudí per puntare però a un’idea pittorica del mosaico. Per idea pittorica del mosaico intendo che la visione frantumata caratteristica del mosaico deve essere composta in modo tale da far pensare alla pittura. Effetto che mi è possibile grazie ai colori della ceramica e all’utilizzo che faccio delle fughe, oltre che per la mia poetica di ritaglio e di incastro delle tessere.
La ceramica, rispetto alle pietre, ai marmi, mi permette di creare qualsiasi forma allungata di tessera. L’effetto pittorico è principalmente di una pittura con campiture piatte, senza giochi di luci né ombre. Quando ho iniziato però non ho mai pensato ad Adami né a Nespolo perché sono passato al mosaico da una pittura di base espressionista, arricchita dal dripping e da combustioni alla Burri. Adami e Nespolo erano l’esatto contrario dei miei miti, eppure ci sono delle somiglianze. Questo perché la mia intuizione mi portava a delle linee di contorno nette, rispetto ai risultati pittorici. Sentivo che l’irruenza che mettevo nella pittura aveva come corrispettivo musivo l’ordine, i contorni netti. È difficile da spiegare, ma i linguaggi e i materiali sono diversi.
Nella ceramica io ho già il colore, non lo devo creare, devo solo ritagliarlo e incastrarlo nel punto giusto, nel migliore dei modi che sento. Sin dall’inizio mi venne di mostrare il disegno e non il caos pittorico. Sin dalle prime tessere ricordo l’urgenza di comporre i corpi con pezzi simbolici e a incastro, una tessera per il naso, due tessere per le labbra ecc. Guardando le mie opere si può pensare alle vetrate e all’intarsio, ma non mi sono mai occupato di vetrate né di intarsio di marmi o del legno. Sono somiglianze di cui sono diventato consapevole successivamente. Davvero non so da dove mi venga questa tecnica e realizzo le mie opere pensandomi pittore o poeta. Oltretutto, parallela alla ricerca sulle tessere, c’era e c’è la ricerca sulle fughe, che nel tempo hanno preso sempre più importanza nelle mie opere, conquistando sempre più spazio. Il mio utilizzo delle fughe credo sia davvero il mio colpo di genio.
Come consueto, in finale di battuta chiedo al mio ospite dei suoi progetti futuri, sia immediati che a lungo termine. In più stavolta, trattandosi di un momento storico così incerto, ti domando anche cosa pensi di quanto sta accadendo sotto i nostri occhi.
Le idee e i progetti sono tanti. Direi che è il momento di una personale che faccia il punto sulla mia ricerca musiva. Voglio organizzare più eventi multidisciplinari nel mio atelier milanese. Voglio realizzare – prima di tutto – dei capolavori indiscutibili. Voglio che ci sia maggiore attenzione per il mosaico in generale. Voglio incontrare i grandi maestri di questa tecnica meravigliosa. Questo è quello che farò.
Riguardo al nostro tempo, caro Luca, stiamo raccogliendo quello ch’è stato seminato. Qualunque cosa sia, questo raccolto è la verità. Ed è sempre bene abbracciare la verità. Devo ammettere inoltre che, al di là della crisi in tutti i campi e delle tensioni da terza guerra mondiale, le mie uniche preoccupazioni riguardano i continui danni all’ambiente e le nuove cattivissime frontiere del mercato alimentare, le porcherie che ci rifila nel piatto il regime democratico, vale a dire il regime che stanno ricostruendo attraverso la maschera della democrazia – maschera che sta per cadere.
Mi fa pena pensare a tutti quelli che in questo regime operano, senza ribellarsi e quindi nutrendolo. È un momento storico unico. Se ci sarà un futuro, e se ci sarà una memoria di questi giorni, verremo ricordati come l’unica razza che si è auto-avvelenata. La guerra e la violenza ci sono sempre state, ma milioni di persone che si nutrono di veleno, vendendo veleno, innaffiando con veleno dei semi impoveriti e l’ambiente, no; siamo i primi e gli ultimi, non possiamo avere un seguito.
Detto ciò, ha senso più che mai ribellarsi, fare il contrario di quello che dicono (tutti), fare niente semmai e farlo benissimo. Ha senso più che mai realizzare i propri sogni, incarnare il proprio sogno.
C’è infine da dire che non c’è mai stato un periodo così ricco per il mosaico, libero finalmente di confrontarsi in totale pienezza e libertà con le altre arti più famose.
Per cui godiamocelo, godiamoci il mandala!
Contatti:
Atelier Orodè Deoro,
Via Lattanzio 15, Milano
333.9588907
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